La spesa pubblica causa della crisi fiscale

di Gennaro Pacilio

 ROMA. La spesa pubblica è la ragione principale per cui paghiamo così tante tasse, è la voracità della macchina pubblica a rendere oggi impossibile un abbattimento del carico fiscale e tributario (anzi, il rischio che questo aumenti, con il passaggio dell’aliquota ordinaria iva dal 21 al 23 per cento, è ancora molto concreto).

La sua riduzione si rende indispensabile. Chi invita a non pagare l’Imu, a ribellarsi all’iniquo balzello, non sempre aggiunge che la conseguenza della disobbedienza non sarebbe uno Stato più affamato, ma uno Stato più indebitato che diventa più cattivo, che cercherebbe di rifarsi aggravando ulteriormente la tassazione su chi già paga. È la spesa pubblica la causa della crisi fiscale: quella che i partiti dicono a parole di voler ridurre, ma non nei fatti. Inoltre dobbiamo ammettere che se l’Italia è soffocata dai debiti è perché abbiamo vissuto al disopra delle nostre possibilità.

Ora tutti diranno che mangiano pane e cipolla da una vita. Ok. Ma se guardiamo appena sotto la Sicilia ci renderemo conto che il mondo non è l’Europa. Siamo come i nobili di Versailles che invitano i popoli del terzo mondo a mangiare cornetti. Quindi ci vuole raziocinio. L’Italia non ha materie prime, non ha petrolio. Avevamo una volta una grande manodopera che veniva dal mondo artigiano, ma è morta pure quella. Adesso consumiamo e basta.

La produzione delle cose si è spostata altrove. E se ogni cinese pretendesse, giustamente, di vivere ai nostri standard, quindi con un condizionatore d’aria per lavorare al fresco, il pianeta terra brucerebbe in venti giorni. Perché un miliardo di condizionatori non è un impatto energetico sostenibile. Quindi, conviene convincersi che il nostro benessere è dovuto al fatto che, involontariamente, mangiamo sulla testa di qualcun altro. I soldi l’Italia non li ha prodotti, gli sono stati dati in prestito. Questo deve essere chiaro. Il piano Marshall non era carità, era una cambiale! Che prima o poi bisognava saldare.

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