ROMA. La sensazione è che i partiti italiani non abbiano ancora capito quel che sta accadendo nel Paese.
O che, peggio ancora, lo abbiano capito fin troppo bene, e stiano correndo ai ripari nel peggiore dei modi, per trovare una qualche forma di protezione da quella che si annuncia come una slavina elettorale. E così che, freneticamente, nel dibattito politico che ci sta accompagnando verso le elezioni, riemergono antichi slogan, vecchie parole dordine, geografie novecentesche, restaurazioni di centrodestra o di centrosinistra, velleità minoritarie, rigurgiti identitari.
Alla consapevolezza che tutto cambierà, gli uomini del Palazzo reagiscono non con coraggio ma con miopia, chiudendosi in se stessi, blindando quel che hanno costruito in questi anni o al massimo negoziandone il trasloco altrove.
Non è certo così che risponderanno allondata di cambiamento che si sta alzando nel paese, cambiamento vero, fatto anche di facce nuove, ma soprattutto di idee, di proposte, di modalità innovative. Non è così che entreranno da protagonisti, e forse nemmeno da comprimari, nella Terza Repubblica, la quale, volenti o nolenti, nascerà. Anzi è già nata, nella pancia di unItalia stanca della politica delle piccole patrie, affamata di progetti più che di identità.
A chi già oggi occupa uno spazio in politica è dato qualche strumento in più, rispetto agli altri, per elaborare proposte credibile e sottoporle agli italiani. Ma quei progetti nasceranno comunque. E la cosiddetta società civile troverà forse, stavolta, il modo e la forza di organizzarsi da sé, senza aspettare di essere usata come paravento dalle vecchie strutture per coprire il loro ennesimo rituale di autoconservazione.