ROMA. Unintesa che arriva in extremis ma che non mette daccordo tutti: niente carcere per chi diffama facendo informazione.
Un disegno di legge che ha fatto sorgere un caso sullintera materia: 138 emendamenti da approvare e rivedere in pochissimo tempo, a dimostrazione di quanto sia difficile legiferare quando si tratta di fare informazione. Il ddl diffamazione è stato altamente discusso infatti in Senato. Nato dalle penne ‘bipartisan’ di Vannino Chiti (Pd) e di Maurizio Gasparri (Pdl) per evitare il carcere al giornalista Alessandro Sallusti, il testo si è andato ‘arricchendo’ via via di norme, una più spinosa dell’altra, che, come ammette il responsabile Giustizia dell’Idv, Luigi Li Gotti, sono difficili adesso da esaminare e poi in tempi così rapidi. Risultato: dopo l’illustrazione degli emendamenti, la seduta d’Aula viene sospesa per consentire a tecnici e capigruppo di arrivare ad un’intesa.Tanto che Li Gotti, appellandosi di nuovo al Capo dello Stato, propone: Se Napolitano concedesse la grazia a Sallusti sarebbe tutto risolto – dichiara in Aula – ed eviterebbe a noi l’imbarazzo di legiferare su temi così delicati in così poco tempo. Perché voi del governo – è l’invito che fa ai ministri presenti al Senato – non vi impegnate a chiederglielo?. Ma alla fine si raggiunge lintesa.
Come dovranno allora comportarsi i giornalisti? Innanzitutto, non dovranno temere per labolizione dellOrdine dei giornalisti, proposte che, firmate dai senatori Radicali del Pd, Donatella Poretti e Marco Perduca vengono dichiarate inammissibili.
Sul ddl, intanto fioccano ben 138 emendamenti. Tra i più significativi, quello di Lucio Malan (Pdl) che di fatto impedisce di scrivere contro la Casta chiedendo condanne per chi parli male di Parlamento e istituzioni. O quello del Pd che chiede di sopprimere la norma che prevede la restituzione al governo dei contributi pubblici all’editoria, in caso di condanna per diffamazione. O quello, ancora, che impedisce ai conviventi di chiedere la rimozione dai siti internet di immagini e dati lesivi nel caso in cui sia morto il diffamato.Un emendamento questo che il presidente dell dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Jacopino, ha definito un provvedimento che è ben più di una legge bavaglio: è una pistola permanentemente puntata alla nuca dei giornalisti.
I nodi principali dello scontro sorgono nel momento in cui si discute della pena pecuniaria che un giornale deve pagare nel caso in cui è accusato di diffamazione. In caso di condanna i giornali dovranno restituire i contributi per l’editoria, così come prevede il comma 2 dell’articolo 9 del ddl sulla diffamazione per il quale era stata decisa la soppressione con parere favorevole di governo e relatori. L’aula del Senato ha approvato l’emendamento Rutelli-Bruno (Api) che impone al gestore di un archivio digitale di una testata editoriale online l’integrazione o l’aggiornamento, su richiesta dell’interessato, della notizia che lo riguarda alla luce di un’avvenuta rettifica. Il nuovo testo prevede che in caso di rettifica a notizia pubblicata in un archivio digitale di un prodotto editoriale, accessibile dal pubblico tramite reti di comunicazione elettronica, l’interessato, può chiedere l’integrazione o l’aggiornamento della notizia che lo riguarda. Il gestore dell’archivio è tenuto a predisporre un sistema idoneo a segnalare con evidenza e facilità a chi accede alla notizia originaria l’esistenza dell’integrazione o dell’aggiornamento.
Per quanto riguarda l’obbligo di rettifica questo diventa obbligatorio non solo per i giornali veri e propri, ma anche per i “prodotti editoriali diffusi per via telematica, con periodicità regolare e contraddistinti da una testata”. In pratica,per tutte le testate web e non solo per le edizioni telematiche delle testate giornalistiche vere e proprie. L’aula del Senato ha poi bocciato due emendamenti al ddl sulla riforma della diffamazione a mezzo stampa, a prima firma del senatore, Felice Casson (Pd), che intendevano limitare la pratica delle richieste risarcitorie intimidatorie contro la stampa. Nelle norme proposte e bocciate, in caso di lite temeraria nella querela penale o di mala fede o colpa grave di chi agisce in sede civile nella richiesta di risarcimento, il giudice poteva stabilire un risarcimento a favore del giornalista che si è dimostrato non essere diffamatore. Il risarcimento che il giudice poteva assegnare al giornalista ingiustamente querelato sarebbe arrivato fino a un decimo della somma richiesta dal sedicente diffamato.