CARACAS. Anche se la speranza è ormai appesa a un filo, nelle acque di Los Roques le ricerche per trovare l’aereo disperso con quattro italiani vanno avanti senza sosta.
A far perdere le tracce del velivolo “deve essersi trattato di un evento improvviso e catastrofico”, che non ha dato tempo al pilota di segnalare l’emergenza, ha sottolineato a Caracas l’ambasciatore Paolo Serpi. C’è un buco di tempo di due minuti tra quando il pilota ha chiuso il contatto con l’isola e il momento in cui doveva prenderlo con Caracas, ha ricordato il diplomatico, sottolineando “il massiccio dispiegamento delle forze” in una zona molto vasta.
I mezzi venezuelani – ha aggiunto – puntano “in un’area dove potrebbe esserci stato l’impatto, con una profondità tra i 48 e i 54 metri”. Ricerche complesse anche perché in altre zone la profondità arriva invece fino a 4.000 metri, ha aggiunto Serpi dopo il sopralluogo fatto di persona a Gran Roque, da dove venerdì era decollato il velivolo senza mai arrivare a Caracas. I lavori andranno avanti ancora “per otto giorni” e, se necessario, anche al di là di tale periodo di tempo, ha precisato, sottolineando che anche la costa venezuelana viene controllata, “nel caso in cui arrivino dei rottami”. Serpi ha così tracciato un bilancio della situazione al termine di un’altra giornata di attesa.
A fornire una possibile traccia, quanto meno delle condizioni meteo nell’area al momento del decollo, è Giuseppe Scalvenzi, fratello di Elda, che insieme alla moglie Rosa Apostoli non era salito sull’aereo scomparso con a bordo Vittorio Missoni, la compagna Maurizia Castiglioni ed i coniugi bresciani Foresti. “Ho visto i fulmini, c’era un temporale”, ha raccontato Scalvenzi, che taglia corto invece sull’ipotesi del dirottamento, alla quale non crede.
I dipendenti dello stabilimento Missoni sono rientrati al lavoro “con il morale a terra” e i familiari aspettano notizie. “Al momento – ha detto Angela Missoni – non abbiamo novità, ma in noi c’è speranza e fiducia nel grande lavoro delle autorità: non ci arrenderemo”. Sul fronte delle indagini, i riflettori sono puntati su alcuni aspetti considerati determinanti. Per esempio, l’analisi dei pochi minuti di volo e della comunicazione avuta dal pilota – il 72enne German Marchal – nel momento in cui, a 10 miglia di distanza, si stava allontanando dalla Gran Roque verso la terraferma.
A immaginare quel che può essere successo è Enrique Cuervo, un esperto dell’aeronautica di Caracas, che punta il dito soprattutto sulle comunicazioni dell’aereo. Il velivolo, afferma, potrebbe aver avuto un guasto e forse Marchal non è riuscito a segnalarlo perché le comunicazioni non hanno funzionato, forse perché l’aereo non aveva raggiunto la quota sufficiente. “Capita”, afferma l’esperto, il quale si fa una domanda che si pongono in tanti a Caracas: “L’aereo era provvisto di un Gps? E in tal caso, era stato attivato?”.
Potrebbe essere proprio il gps a rivelare il destino del velivolo. Lo ha ipotizzato in una intervista a Radio Rai il generale di brigata Lorllys Ramos, capo della direzione generale prevenzione e investigazioni sugli incidenti aerei (Dgpiaa) del Venezuela, che sta coordinando le indagini. “L’ ipotesi che riteniamo sia la più concreta – ha detto Ramos – è che il velivolo sia precipitato in mare per cause che non conosciamo”. Al momento, ha aggiunto, non si scarta del tutto l’ipotesi che il velivolo “per qualche ragione abbia perduto l’orientamento e abbia preso una rotta diversa andando a finire non sappiamo dove”.
Al momento nulla sembra suffragare le ipotesi di un guasto tecnico o di un problema causato dalle condizioni meteo. “In base alle prime informazioni, sulle quali stiamo ottenendo conferme, l’aeroplano era in buone condizioni”, ha precisato Ramos, e “il tempo era normale per questo periodo dell’anno, il cielo era quasi del tutto limpido. Abbiamo alcune segnalazioni, che non provengono da organismi ufficiali di meteorologia ma da osservazioni di alcuni testimoni, che parlano di limitate e parziali nuvolosità, condizioni che in ogni caso non erano affatto pericolose”.