Fecondazione assistita, giudice: “Divieto mina la vita della famiglia”

di Redazione

 MILANO. Il divieto di fecondazione eterologa, previsto dalla legge 40, “condiziona” la “possibilità delle coppie eterosessuali sterili o infertili” di “poter concorrere liberamente alla realizzazione della propria vita familiare”.

Lo scrivono i giudici di Milano che hanno sollevato la questione di incostituzionalità della legge davanti alla Consulta.

Il Tribunale civile lombardo, con un’ordinanza depositata il 29 marzo scorso, ha stabilito che il divieto di fecondazione eterologa si pone in contrasto con alcuni principi costituzionali, tra cui il diritto fondamentale all’autodeterminazione della coppia, il principio di eguaglianza tra coppie e il diritto alla salute. I giudici chiedono, dunque, ancora una volta, alla Consulta di pronunciarsi sulla legge 40 che ha per l’ennesima volta subito una bocciatura.

Marilisa D’Amico, avvocato e anche consigliere comunale milanese del Pd, assieme agli avvocati Maria Paola Costantini, Massimo Clara e Sebastiano Papandrea, assiste la coppia affetta da azoospermia completa che aveva ha presentato nel 2010 ricorso al Tribunale civile di Milano per poter accedere alla fecondazione eterologa, vietata dalla legge 40 del 2004 giudicano la notizia “molto positiva” e confidano nell’esito positivo dell’esame da parte dei giudici della Corte Costituzionale, affinché “entro qualche mese, forse entro la fine dell’ anno, le coppie in Italia potrebbero avere accesso alla fecondazione eterologa”.

Nel maggio 2012, la Corte costituzionale, investita della questione, aveva deciso che sarebbe stato compito dei tribunali ordinari di Firenze, di Catania e di Milano accertare, alla luce della sentenza della Corte di Strasburgo, “se ed entro quali termini permanga il denunciato contrasto”, che li aveva spinti a sollevare davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa.

Una sorta di restituzione degli atti ai tribunali ordinari, alla luce della sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011, decisa affinché procedessero “a un rinnovato esame dei termini delle questioni”. La Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo aveva legittimato, di fatto, il no al ricorso alla donazione di ovuli e sperma in vitro per avere un figlio stabilito da un Tribunale austriaco, che aveva impedito a due coppie il ricorso a tecniche di fecondazione eterologa.

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