NAPOLI. La quarta Corte d’Appello di Roma, presieduta da Carmelita Russo, ha respinto la richiesta con la quale era stata chiesta la revisione del processo per il triplice delitto avvenuto il 2 luglio del 1983 a Ponticelli.
Le motivazioni della decisione saranno note tra 90 giorni. La decisione è stata presa dopo una riunione in Camera di Consiglio dei giudici durata due ore e mezzo. Contro il diniego di rinnovare il dibattimento i difensori hanno già annunciato ricorso in Cassazione.
Ad assistere alla lettura del provvedimento deciso dalla Corte c’erano in Corte d’Appello i tre considerati gli assassini delle ragazze e cioè Giuseppe La Rocca, Luigi Schiavo e Ciro Imperante. La decisione della Corte ha sorpreso tutti lasciandoli ammutoliti. Soltanto a bassa voce uno degli imputati ha detto: “Bastardi, questa è la giustizia in Italia”.
IL MASSACRO. Il 3 luglio 1983 vengono rinvenuti nell’alveo Pollena, un torrente in secca, i due corpi senza vita di Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, di 10 e 7 anni. In seguito alla perizia del medico legale si scoprirà che le due amichette sono state violentate, pugnalate a morte e bruciate. L’Italia intera è scossa da quel duplice omicidio. In un primo momento gli inquirenti concentrano i sospetti su qualche maniaco del luogo. Ma ai primi di settembre accade qualcosa: i mostri vengono individuati in tre ventenni incensurati. Senza alcuna prova che ne dimostri la colpevolezza, ma solo in base alle accuse di un supertestimone, i tre ragazzi vengono condannati all’ergastolo. Una pena che scontano per oltre vent’anni senza aver commesso il fatto.
Chi si voleva proteggere? Chi si doveva proteggere? Forse un camorrista a cui piacevano i bambini e che quindi avrebbe rappresentato, per il Sistema, un’onta da scostarsi di dosso? In trent’anni non è stato ancora svelato il mistero. Un misteroche la giornalista e scrittrice Giuliana Covella ha affrontato nel suo libro Luomo nero ha gli occhi azzurri, che è stato allegato alla domanda di revisione del processo presentatanel giugno 2012 da Ferdinando Imposimato, Eraldo e Francesco Stefani alla Corte dAppello di Roma.