Con gli occhi di Goffman: studenti universitari come “internati”

di Speranza Lettera

 ROMA. E’ incredibile come la storia, imbottigliata in un circolo vizioso, si ripeti sempre allo stesso modo, come le pirouette di un vinile incantato.

Gli anni Sessanta sono stati costellati da ribellioni di massa dei giovani guidati dagli studenti universitari, con movimenti sociali di grande forza propositiva e di un’effervescenza collettiva intensa e contagiosa, contro il “sistema”, le istituzioni e gli apparati di una società che oscurava diritti, razionalità e libero arbitrio, ed obbligava ad essere in balia del suo controllo, del suo giudizio e dei suoi progetti, una società che depennava chi non era intenzionato ad adattarsi a quegli schemi. Studenti in crisi come quelli di oggi. Società dispotica come l’università odierna.

Il sociologo Erving Goffman, negli anni Cinquanta, trattò il problema delle cosiddette istituzioni totali, “luoghi in cui vige una distinzione fondamentale fra un gruppo di individui, chiamati opportunamente “internati”, ed un piccolo staff che controlla, senza che sia lasciata una remota alternativa al tipo di vita imposto”.

L’attuale staff universitario stila regole di recitazione ben precise che non ammette sbavature o errori di percorso, pena il discredito del medesimo staff o l’esclusione dal cast. Dozzine di ore di studio, tasse salate ed una sregolata e maleodorante vita da pendolare condotta dalla maggior parte degli studenti universitari barattate con appelli d’esame che saltano, professori assenteisti e cicli di lezioni bucherellati come colapasta, che rappresentano, ormai, tradizionali costumi di un invulnerabile “sistema” che si rende impermeabile ad ogni goccia di reclamo. Ovviamente il direttore universitario, da buon regista, è una figura utopica, irraggiungibile, quasi mistica, che gestisce il lungometraggio dall’alto, come un narratore onnisciente manzoniano.

“Lo staff tende a sentirsi superiore e a pensare di aver sempre ragione, mentre gli internati tendono a ritenersi inferiori, deboli e colpevoli. Ridotta è la possibilità di comunicare fra un livello e l’altro, e limitato è il passaggio di informazioni, in particolare quelle che riguardano i piani dello staff nei confronti degli internati. L’internato è escluso, in particolare, dalla possibilità di conoscere le decisioni prese nei riguardi del suo destino”.

Goffman sosteneva che, in questi luoghi, gli uomini sono tenuti in condizioni tali da poter adattarvisi solo attraverso la pazzia. E la ribellione? Inutile. Come un boomerang torna indietro e ti si ritorce persino contro. Dunque, che dire… che lo stato concretizzi l’articolo 34 della Costituzione e rispetti il suo dovere di tutelare il diritto allo studio. E soprattutto: usate i frisbee e siate folli!

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