Quirico rientra in Italia: “Tradito dalla rivoluzione siriana”

di Antonio Taglialatela

 ROMA. E’ tornato in Italia dopo cinque mesi di prigionia Domenico Quirico, inviato de La Stampa in Siria.

Era entrato nel paese asiatico lo scorso 6 aprile e l’ultimo contatto con cui era stato tre giorni dopo, a parte una breve telefonata che il 62enne giornalista aveva fatto alla moglie il 6 giugno, dicendo di stare bene e confermando di essere stato rapito. Uscito dall’incubo e rimpatriato nella notte tra l’8 e il 9 settembre a bordo di un Falcon 900 dei servizi decollato da un non meglio precisato “scalo del Medio Oriente” – la Farnesina non lo ha voluto specificare – atterrato circa 25 minuti dopo la mezzanotte all’aeroporto militare di Ciampino, è stato un Quirico visibilmente stanco e provato, ma in buona salute, a intrattenersi per pochi secondi con il nugolo di giornalisti e operatori che da oltre un’ora lo attendeva allo scalo romano.

Vestito con un giubbotto di tela grigio chiaro, i capelli un po’ cresciuti sulla nuca, il giornalista aveva accanto lo studioso belga Pier Piccinin, liberato insieme a lui. Appena sceso dalla scaletta dell’aereo è stato affettuosamente abbracciato dal ministro degli Esteri, Emma Bonino, che lo ha accolto insieme al direttore generale della Farnesina, Michele Valenzise, e a esponenti dell’Unità di crisi.

Quirico ha riferito di essere stato trattato “non bene” dai suoi carcerieri, di aver avuto paura e di essersi sentito “tradito” da quella “rivoluzione siriana” che tanto interesse e speranze aveva suscitato ai tempi della presa di Aleppo da parte dei ribelli e che poi è stata dirottata in parte dalle frange dell’estremismo islamico. “Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa mi abbia tradito”, le sue prime parole.

Quando dal confine libanese si diresse a Homs, per quella che doveva essere la sua quarta missione da inviato nell’inferno siriano, quel 9 aprile scorso le cose stavano rapidamente cambiando e le fazioni laiche e jihadiste perseguivano ormai agende diverse. “Non è più la rivoluzione laica di Aleppo, è diventata un’altra cosa”, ha sottolineato il giornalista che lunedì mattina sarà ascoltato dalla procura di Roma.

153 giorni, trascorsi “come se fossi vissuto su Marte”, ha raccontato Quirico che ha saputo solo adesso della rielezione di Giorgio Napolitano a presidente della Repubblica, e della veglia di digiuno del Papa per la pace in Siria. Da Govone, in provincia di Cuneo, in mattinata sono arrivate, per riabbracciarlo, la moglie Giulietta e le figlie Metella ed Eleonora. “Chiedo scusa per avervi fatto preoccupare, ma questo è il mio giornalismo”, ha detto ai familiari, durante una telefonata, poco dopo il rientro.

Inviato di guerra, Quirico Ha seguito tutte le vicende africane degli ultimi vent’anni, dal Ruanda al Congo, alla Somalia. Negli ultimi anni si è dedicato alla guerra in Mali, è stato in Somalia e ora era la quarta volta che si trovava in Siria. Da tempo è in prima linea anche nei paesi del Nord Africa e della Primavera araba. Nell’agosto 2011, in Libia, nel tentativo di arrivare a Tripoli durante la rivolta anti-Gheddafi in Libia, fu rapito insieme con due colleghi del Corriere della Sera e uno di Avvenire. Durante il sequestro fu ucciso il loro autista, mentre i giornalisti vennero liberati solo due giorni dopo.

Adesso le speranze sono rivolte ad un altro italiano sequestrato a luglio in Siria: il gesuita padre Paolo Dall’Oglio.

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