NEW YORK. Bill De Blasio è il 109esimo sindaco di New York, il primo democratico da 20 anni. Il 52enne italo-americano si è imposto con il 73% dei consensi, contro il 25% del rivale repubblicano Joseph J. Lhota fermo al 25%.
New York “ha scelto un sentiero progressista e da oggi ci mettiamo in viaggio insieme, come una sola città”, ha commentato De Blasio, che si insedierà il primo gennaio.
Inizia così l’era del “gigante” di Brooklyn con radici campane, alto quasi due metri, con una moglie afro-americana e una famiglia già divenuta icona di una Grande Mela multirazziale. De Blasio, che ha dichiarato di battersi per una città più equa e per colmare il divario tra i ricchi e i poveri, ha raccolto consensi trasversali, indipendentemente dalla razza, dal genere, dalla religione o dal ceto sociale.
Il plebiscito per De Blasio rappresenta un forte segnale anche a livello nazionale: decreta la fine di un’era, quella inaugurata dal sindaco-sceriffo Rudolph Giuliani, il primo cittadino dell’America colpita dagli attentati dell’11 settembre, e proseguita con Michael Bloomberg, il miliardario vicino a Wall Street rimasto in carica per 12 anni che ha trasformato New York.
“Grazie New York”, ha twittato De Blasio appena usciti i primi exit poll. A Brooklyn è esplosa la festa. Alla Park Slope Armory, quartier generale dell’italoamericano, lentusiasmo è stato incontenibile. “Il nostro lavoro è appena iniziato”, esulta il vincitore, a cui lo sconfitto Lotha ha telefonato per le congratulazioni. “Siamo molto orgogliosi”, urla De Blasio. Poi il saluto all’Italia: “Grazie a tutti”, ha detto nella lingua dei nonni materni che emigrarono negli Stati Uniti dal sud Italia. E un saluto particolare va a Sant’Agata dei Goti (Benevento), dove nella nottata – come a Brooklyn – i cittadini hanno fatto festa.
A brindare alla fine di questa lunga giornata elettorale in America è anche Chris Christie, rieletto con una valanga di voti governatore del New Jersey. La sensazione è che il partito repubblicano, in vista delle presidenziali del 2016, dovrà ripartire proprio da lui, dal conservatore moderato che sa dialogare con gli avversari politici.
Per i Tea Party, che negli ultimi mesi hanno tenuto in ostaggio il partito, potrebbe essere arrivato invece il momento della resa dei conti. E la sconfitta del loro esponente Ken Cucinelli nella roccaforte conservatrice della Virginia (a vantaggio di Terry McAuliffe, il democratico sponsorizzato dai Clinton oltre che dal presidente Barack Obama) – suona come un preoccupante campanello di allarme. Ma non solo. Il Tea Party è uscito sconfitto anche in Alabama. Qui Bradley Byrne ha battuto Dean Young, un uomo d’affari ultra-conservatore che aveva contato appunto sul sostegno del Tea Party.
Il sindaco di Houston, la democratica Annise Parker, è stata confermata per il suo terzo mandato con oltre il 50% dei consensi. Il primo sindaco dichiaratamente omosessuale di una grande città ha battuto ben otto sfidanti. Per la prima volta da 40 anni Detroit ha eletto un sindaco bianco. L’ex manager ospedaliero Mike Duggan ha battuto lo sceriffo della contea di Wayne, Benny Napoleon, con il 55% dei consensi contro il 45%. Entrambi sono democratici.
Intanto, nel giorno dellElection Day, con 61 voti a favore e 54 contrari, la Camera dell’Illinois ha approvato una legge che dal primo giugno del 2014 rende legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il testo era stato già approvato lo scorso febbraio dal Senato dello Stato – a maggioranza democratico -, ma da allora ha subito alcune modifiche e deve quindi essere di nuovo sottoposto ad un passaggio per la Camera alta, dove non dovrebbe incontrare grossi problemi. Al quel punto, toccherà al governatore Pat Quinn apporre la sua firma, per renderlo così effettivo, e allo stesso tempo fare dell’Illinois il 15/mo stato degli Usa che legalizza le nozze gay.