Berlusconi, la sentenza Ruby: “Atti sessuali in cambio di denaro e gioielli”

di Antonio Taglialatela

 MILANO. Rapporti sessuali in cambio di denaro e oggetti preziosi. Questo il “legame” che Silvio Berlusconi ebbe con l’allora 17enne marocchina “Ruby”, al secolo Karima El Mahroug.

Lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza che ha condannato l’ex premier a sette anni per concussione e prostituzione minorile. Ma non è tutto. Il tribunale di Milano ritiene che la ragazza fosse inserita stabilmente “nel collaudato sistema prostitutivo di Arcore ove giovani donne, alcune delle quali prostitute professioniste, compivano atti sessuali in plurimi contesti”.

Sistema ribattezzato “Bunga bunga” di cui, scrivono i giudici, risulta “provato regista” Berlusconi, “il quale dava il via al cosiddetto ‘bunga bunga’, in cui le ospiti si attivavano per soddisfare i desideri dell’imputato”. Imputato che era “consapevole della minore età” di Ruby in virtù della “cronologia degli accadimenti oggetto del presente processo ed il chiaro contenuto dei dialoghi captati”.

Ma i giudici vanno oltre, sostenendo che Berlusconi ha una “capacità a delinquere (…) consistita nell’attività sistematica di inquinamento probatorio a partire dal 6 ottobre 2010 attuata anche corrispondendo” a Ruby “e ad alcune testimoni ingenti somme di denaro”.

La sentenza affronta anche la telefonata in Questura con cui l’allora presidente del Consiglio chiese il rilascio di Ruby, poi data in affidamento all’ex consigliera regionale Nicole Minetti, condannata in primo grado a cinque anni in un processo parallelo. “Deve ritenersi”, scrivono i magistrati, che il premier “intervenne pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del capo di gabinetto e, attraverso il superiore gerarchico, sul funzionario in servizio quella notte in Questura (…) al fine di tutelare se stesso, evitando” che Ruby “svelasse l’attività di prostituzione” ad Arcore, sottolineano quindi i giudici ricostruendo le vicende che portarono alla liberazione di Ruby. Quando era premier e telefonò al capo di gabinetto della Questura per chiedere la liberazione di Ruby, “non ha esitato ad asservire la pubblica funzione ad un interesse del tutto privato (…) ossia il complessivo funzionamento di un sistema prostituivo” ad Arcore. Berlusconi, continuano i giudici, ha chiamato “al fine di ottenere per sé un duplice vantaggio: da un lato la ragazza veniva in tal modo rilasciata” in modo da poter “continuare indisturbata a frequentare la privata dimora di Arcore e dall’altro (Berlusconi, ndr) evitava che la stessa potesse riferire alle forze dell’ordine e alle assistenti sociali di aver compiuto atti sessuali a pagamento con lo stesso imputato, garantendosi così l’impunità”.

Inizialmente, la presidente della quarta sezione penale del tribunale lombardo, Giulia Turri, non aveva autorizzato i giornalisti ad avere una copia delle motivazioni della sentenza, depositate giovedì scorso, poiché gli stessi cronisti non erano ritenuti “soggetti legittimati” a venirne in possesso.

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Redazione
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