Teverola. Celebrato, domenica mattina,il ventesimo anniversario dell’uccisione di Genovese Pagliuca, giovane teverolese, vittima innocente della camorra.
In via Roma, all’incrocio con via Campanello, nel luogo del barbaro assassinio, è stata accesa la prima “Fiaccola della Memoria e dell’Impegno” del 2014 e deposta una grande pietra commemorativa, non la stessa ma simile a quella che, vent’anni prima, fu rimossa dall’autorità giudiziaria in attesa di far luce sul delitto.
Presenti esponenti di Libera Caserta, tra cui il presidente Gianni Solino e Alessandra Tommasino – la quale, anche in virtù della sua esperienza di cronista sul territorio, ha raccontato la drammatica storia di Genovese – del Comitato Don Diana, presieduto da Valerio Taglione, il sindaco Biagio Lusini, il parroco Don Evaristo Rutino, Salvatore Di Bona, del Coordinamento provinciale dei familiari vittime innocenti della camorra, rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, insieme ad un folto gruppo di cittadini.
Lacrime non solo di dolore ma anche di gioia quelle dei familiari di Genovese per una giornata che testimonia come ancora oggi, nella comunità teverolese, è vivo il ricordo del 25enne prematuramente strappato alla vita. A loro Michele Martino, capo scout, ha regalato la lettera “C” dell’alfabeto, come simbolo del “Cambiamento” che sta avvenendo in questi luoghi.
A seguire le immagini della cerimonia
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La storia. Genovese Pagliuca il 19 gennaio 1995 viene ucciso da esponenti del clan dei casalesi perché si ribella alle violenze subite dalla fidanzata Carla. Tutto comincia nell’estate del ’93. Carla, parrucchiera di 24 anni, lavora sodo perché spera di sposare presto Genovese. Non sa, però, che Angela Barra – amante del boss Francesco Bidognetti, numero uno della mala nell’entroterra casertano – l’ha adocchiata da tempo: attraverso la vetrina della sua gelateria, la donna segue i movimenti di quella ragazza. La scruta, l’avvicina e alla fine riesce a farsela amica, con l’obiettivo di intraprendere una relazione lesbica.
È settembre, quando Carla bussa alla porta di Angela: ha litigato con i genitori, è andata via di casa e chiede ospitalità alla donna che l’accoglie nella propria casa. Ben presto, però, quelle mura si trasformano in una prigione: le avances di Angela sono sempre più insistenti e violente. A dicembre, Carla viene portata in un’altra abitazione, sequestrata: resterà lì dentro per un mese, imbottita di sedativi. Una mattina del gennaio ’94 la ragazza riesce a fuggire.
Torna a casa e confessa tutto al fidanzato. I due giovani, spinti anche dai genitori, decidono di tenere nascosta la vicenda: temono il disonore e la vendetta della camorra. Pensano che l’unico modo per venirne fuori sia allontanare Carla da Teverola e lasciare il fidanzato in paese. Ma la rabbia di Angela e dei suoi accoliti si riversa su Genovese. Il ragazzo perde il lavoro, la dignità, e non passa giorno senza che venga aggredito. Questa storia si protrae per un anno fino a quando Genovese viene assassinato a colpi di pistola e fucile.
Ancora una volta le rispettive famiglie decidono di non rivelare nulla, ma Carla, davanti alla morte del fidanzato, decide di rompere il muro di omertà, raccontando tutto ai carabinieri. Adesso vive sotto protezione in una località segreta.