Marò, il governo indiano rinuncia alla pena di morte

di Redazione

 New Delhi. Ultimatum per la pubblica accusa indiana per il caso marò: i pm avranno infatti sette giorni, fino al 10 febbraio, data in cui è stata fissata la prossima udienza, per formulare le accuse contro i due fucilieri italiani.

Intanto, secondo indiscrezioni, il governo indiano avrebbe deciso di rinunciare all’uso della legge anti-pirateria e anti-terrorismo (“Sua Act”), che prevede la pena di morte. Il giudice Bs Chauhan, rinviando l’udienza ha posto alla pubblica accusa un limite non estendibile di una settimana per presentare una soluzione sulle modalità di incriminazione dei marò: “Vi concedo ancora una settimana – ha insistito – ma non sono disposto ad attendere oltre”.

L’inviato Staffan De Mistura ha spiegato che l’Italia, da parte sua, ha “chiesto alla Corte che, di fronte all’indecisione della pubblica accusa, i marò siano autorizzati a tornare in Italia. E questa richiesta la ripeteremo con forza anche lunedì prossimo indipendentemente dall’esito dell’udienza”.

Quanto alle indiscrezioni sulla rinuncia del governo indiano alla legge anti-terrorismo De Mistura ha spiegato: “Non sono solito reagire ad illazioni di stampa, positive o negative. E comunque queste non ci fanno cambiare rotta. Quello che farà testo sarà una decisione della Corte Suprema oppure un annuncio ufficiale da parte delle autorità governative indiane. Qualora questo avvenisse noi ne prenderemo atto ma continueremo con una strategia determinata e mirata”.

De Mistura, che prima dell’udienza ha avuto un colloquio “schietto e franco” con il procuratore generale, critica la pubblica accusa: “Non può più giocare con i tempi. Abbiamo ricordato tramite il nostro avvocato che ci sono stati 25 rinvii giudiziari senza un pezzo di carta”, ha detto l’inviato speciale del governo. “Prima l’unica linea rossa era il non utilizzo del Sua Act – ha aggiunto citando la legge contro il terrorismo marittimo che prevede, in caso di omicidio, anche la pena di morte -. Ora anche lo sono diventati anche i ritardi”.

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