Napoli. Tante lamiere carbonizzate e un’aquila imbalsamata è ciò che resta oggi di Città della Scienza. Il polo tecnologico partenopeo distrutto un anno fa dalle fiamme appiccate dolosamente la sera del 4 marzo, prova a risorgere dalle sue ceneri.
La data che per la città di Napoli rimarrà nel calendario come sinonimo di distruzione segnerà infatti la rinascita, come un’araba fenice, dell’incubatore scientifico tanto amato dalle scolaresche. Un accordo di programma da 56 milioni di euro che verrà siglato proprio oggi, il 4 marzo, e che prevede la ricostruzione di Città della Scienza esattamente dov’era, solo un po’ più indietro per consentire il recupero della spiaggia di Bagnoli.
Ma non solo: già all’inizio del 2015 sarà consegnato ‘Corporea’, il padiglione di quattromila metri quadri dedicato al corpo umano i cui lavori procedono spediti. E che si aggiungerà alle attività didattiche ospitate nello Science Center ricavato nel giro di un mese nell’area non attaccata dalle fiamme e che non ha mai smesso di essere attivo.
“Città della Scienza rinascerà più bella di prima – assicura il suo fondatore, Vittorio Silvestrini – e nel giro di due, massimo tre anni. Con l’accordo che ci accingiamo a firmare diamo il via ai bandi per la progettazione. Dopo un anno partiranno quelli per gli appalti e nel giro di un ulteriore anno e mezzo dovrebbe essere tutto pronto. Abbiamo sconfitto la lentezza della burocrazia e del sistema, ma ora possiamo guardare al futuro con ottimismo. Certo, rimane la rabbia per quello che è successo e lo sconcerto, un anno dopo, di non sapere chi è stato e perché”.
Sì, perché le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo e dai pm della Dda Ida Teresi e Michele Del Prete, pur avendo delineato uno scenario di fondo, non hanno ancora portato all’individuazione dei responsabili. Tante le piste avanzate e prese in considerazione subito dopo il rogo di quella notte in cui furono utilizzati dodici inneschi: da quella eversiva a quella camorristica fino a quella interna. Scartata la matrice eversiva, sono rimaste in piedi le altre due dove la più accreditata rimane quella interna.
L’idea degli inquirenti infatti – secondo quanto trapelato – è quella di una vendetta o di un avvertimento all’interno della struttura sfociata in un’azione dimostrativa che doveva avere una portata più limitata; ma che poi le cose siano andate oltre le intenzioni probabilmente a causa del materiale infiammabile che prese fuoco con grande velocità. Colpì inoltre – è uno degli elementi al vaglio dei pm – la circostanza che l’allarme non fu dato dalla sorveglianza ma da alcuni pescatori. Le indagini, infine, vertono anche sui bilanci e sulla gestione delle risorse sulle cui modalità si concentrano i dubbi degli inquirenti.
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