Caserta. Una frangia del clan dei casalesi, con articolazioni anche a Santa Maria Capua Vetere, che chiedeva il pizzo agli imprenditori e cercava di ottenere appalti pubblici.
Nel novembre 2011 fu smantellata con 29 arresti nel Casertano, eseguiti dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta. In primo grado una parte degli imputati era stata condannata nel 2013 e mercoledì, in Appello, sono state ridefinite delle pene.
Gerardo Antonucci e Giovanni Cassandra sono stati assolti dal reato di estorsione e condannati per l’associazione per delinquere a sei anni di carcere. Antonio Monaco è stato condannato a 8 anni e tre mesi di carcere, Mario Tiglio a 12 anni e quattro mesi, Carmine Morelli a 15 anni e otto mesi, Mario Coscione a 13 anni e otto mesi, Elio Diana di Casal di Principe a sei anni e 8 mesi. Per Michele Greco la pena è stata di sei anni, per Giuseppe Viggiano di 5 anni e quattro mesi e per Maurizio Zammariello di sette anni, un mese e 20 giorni di carcere.
Confermata la sentenza di primo grado per gli altri imputati Ciro Coscione, Vincenzo e Salvatore Fontana e Domenico Ruggiero, mentre i giudici hanno accolto l’appello del pm della procura Antimafia di Napoli per la posizione di Luigi Terruotto con la condanna emessa a sei anni. Rigettato l’appello del pubblico ministero, invece, per Antonio Battista, Francesco Cecere, ex consigliere comunale di Santa Maria Capua Vetere, assolti, Tommaso D’Angelo e Nicola Della Corte, ma anche per Vincenzo Fioretti e Rosanna Martucci.
Le indagini erano partite dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Roberto Vargas, Raffaele Piccolo, Salvatore Laiso, Antonio Barracano, Rosa Amato, Salvatore Fasano, Ciro Ruffo, Luigi Tartarone, che avevano chiarito alcuni aspetti fondamentali delle vicende delittuose già emerse in fase investigativa. Fondamentali i verbali di Rosa Amato, la figlia del capozona Salvatore, il boss che amava il fitness e aveva una palestra in casa.
Ruolo predominante in tutta la zona di Santa Maria Capua Vetere era quello di Carmine Morelli, detto Carminuccio o zingaro nell’area di Santa Maria Capua Vetere, storicamente assegnata ad affiliati apicali come Vincenzo Conte, detto Nas e cane e, sino al suo arresto, a Roberto Vargas.
I provvedimenti restrittivi erano il risultato di unindagine condotta sulla famiglia Schiavone nel periodo immediatamente successivo allarresto di Giuseppe Setola e di altri elementi di spicco del clan, con la finalità di indebolirne la capacità operativa nel settore estorsivo, nel quale il gruppo criminale ha confermato assoluta vitalità, non solo con la finalità di incrementare le casse del clan, ma anche e soprattutto per riaffermare il controllo su quei territori rimasti scoperti a seguito delle numerose operazioni che avevano praticamente decimato il gruppo stragista facente capo a Setola.
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