Il vero amore non avrà mai fine, racconta Ferzan Ozpetek nel film in uscita, il 6 marzo nelle sale italiane, Allacciate le cinture.
Un cast deccezione per raccontare le emozioni, di quelle forti e travolgenti a cui il regista ci ha abituato. Per narrare al meglio questo groviglio di sensazioni, ancora una volta il maestro dietro la macchina da presa sceglie una protagonista deccezione, Kasia Smutniak, per riesce ad interpretare al meglio le forme estreme del dolore.
E non si tratta solo di un malessere fisico, ma soprattutto intimo ed introverso. Accanto a lei, un ex tronista, Francesco Arca, che Ferzan modella e scompone, rivoluzione nel corpo e nello spirito. La storia che fa da sfondo alla declinazione delle milioni di sfaccettature dellanimo umano, è ovviamente una storia damore e sofferenza, dolore e passione. Elena e Antonio vivono una storia damore incompleta ed a metà, un po come le loro vite. Unincompatibilità di fondo: lei è troppo per lui, lui poco per lei. Eppure lei lo ama, per come è, dal primo momento, quando i loro sguardi si incrociano sotto una pensilina e si scontrano subito dopo mentre aspettano un autobus riparandosi dalla pioggia battente che annuncia un triste presagio.
Lui se ne accorgerà solo più tardi, quando sarà finalmente più consapevole di sé. E la storia prende la cattiva piega quando accanto alla passione e alla spensieratezza prende forma, 13 anni più tardi, il dolore, quello inaspettato, della malattia. Una turbolenza che costringe ad allacciare le cinture. Un po come fa la vita ordinaria, in cui il tempo viene scandito dai battiti delle emozioni, da quella esistenza messa a dura prova. Ferzan Ozpetekin “Allacciate le cinture” indaga ancora sull’amore, che stavolta va oltre la fisicità e si eleva in un’altra dimensione, scioglie come piace a lui i segreti più reconditi nel pianto, preme l’acceleratore sui sentimenti e raggiunge l’obiettivo, che poi è quello a cui tutti coloro che fanno cinema ambiscono: emozionare.
Tutto ruota intorno alla scena dell’ospedale, in cui Elena-Kasia scopre di essere ancora l’oggetto del desiderio del marito meccanico e donnaiolo, che la vuole anche segnata dalla chemioterapia, anche quando in un gesto di sfida, sofferente sul lettino, lei si sfila il foulard e mostra la testa calva, senza parrucca e senza inganno. Una scena su cui il regista costruisce tutto il film, suggerita da una frase di una amica malata che confida di “dormire” ancora con il marito dopo vent’anni perché “agli uomini non fa schifo niente”.
Una scena che, come un segreto prezioso, Ferzan, quando i tempi sono maturi e i protagonisti non riescono più a spogliarsi dei panni dei loro personaggi, spiega i dettagli in un bagno, l’unico posto in cui si riesce a stare tranquilli. Nell’intimità che permette di suggerire frasi come “sei la persona della mia vita” coronate sul set dalle lacrime, che come sottolinea Kasia diventano naturali solo se la “morte l’hai vista in faccia”.