Addio a Gabriel Garcia Marquez, scrittore e premio Nobel colombiano

di Redazione

Gabriel Garcia MarquezCittà del Messico. E’ scomparso ilpremio Nobel Gabriel Garcia Marquez. Lo scrittore e giornalista colombiano, 87 anni, da tempo malato, è morto oggi nella sua casa a Città del Messico, a sud della capitale, nel quartiere San Angel, dove si sono subito dopo affollati un centinaio di cronisti di tutto il mondo.

Lo scorso 8 aprile Marquez, Nobel per la letteratura nel 1982 e uno dei più grandi scrittori dell’America latina, inventore di uno stile definito realismo magico, era tornato a casa dopo essere stato dimesso da una clinica in cui era stato ricoverato per qualche giorno. I medici e i parenti avevano parlato di problemi “ai polmoni e alle vie urinarie”. Il quotidiano messicano El Universal aveva invece scritto: “Dodici anni” dopo aver affrontato un tumore linfatico, “il cancro ha invaso altre parti del corpo” dello scrittore, e cioè “polmone, gangli e fegato”.

Nato ad Aracataca, paesino della Colombia settentrionale, il 6 marzo 1927, lo scrittore era il primo dei sedici figli del telegrafista Gabriel Eligio García e della chiaroveggente Luisa Santiaga Márquez Iguarán.

Nel 1967 Marquez pubblicò il suo romanzo più famoso: Cent’anni di solitudine a cui seguirono fra gli anni ’70 e ’80 L’autunno del patriarca, Cronaca di una morte annunciata e L’amore ai tempi del colera.

A pochi scrittori è toccata in vita la popolarità raggiunta da Garcia Marquez, i cui titoli più famosi, sono entrati nel bagaglio di tutti e parafrasati nell’uso comune. Tra tanti nomi di premi Nobel subito dimenticati, Marquez ha invece conosciuto un crescendo di successo. Non è un caso, ma la conferma di come con lui la letteratura sudamericana abbia trovato la reale coscienza della propria identità, saldando la tradizione culturale europea con il mondo e la tradizione locale in modo nuovo, risolto. Quel modo che sarà all’origine del boom dei narratori latinoamericani nel mondo negli anni ’60.

E l’emblema non può che essere l’esemplare realtà della sua fantastica Macondo, la provincia di fantasia creata dallo scrittore e in cui si svolgono quasi tutti i suoi racconti, riflettendo verità e storia della Colombia d’oggi (l’abbandono e solitudine un po’ di tutto il Sudamerica), dal cuore, dai riti, dal sentire così antico e magico. Per anni giornalista di professione, Garcia Marquez è però con l’invenzione artistica, come sempre accade, che riesce davvero a rappresentare il senso di una condizione, di una realtà, verso la quale non è mai venuto meno il suo impegno ideologico e civile.

Marquez ha frequentato a Bogotà la facoltà di giurisprudenza, già scrivendo e pubblicando su riviste i primi racconti, prima di arrivare al giornalismo, chiamato a Cartaghena per lavorare a El universal. Nella capitale torna nel 1954 per collaborare a El Espectador e l’anno dopo si reca in Europa, mentre esce il suo primo romanzo, Foglie morte.

Un viaggio importante e in cui nasce, tra l’altro il forte legame con l’Italia e il nostro cinema, amato da sempre con quello francese, in opposizione alle produzioni americane. A Roma frequenta il Centro Sperimentale, conosce Zavattini e molti altri personaggi, come testimoniano le sue corrispondenze.

Al suo ritorno, a cominciare dal 1961, escono i primi romanzi importanti, preparatori di Cent’anni di solitudine. La storia lunga un emblematico secolo della famiglia Buendia faticherà a trovare un editore e uscirà in Argentina nel 1967, dopo Nessuno scrive al colonnello, Il funerale della Mama Grande e La mala ora.

La figura di Marquez non è però legata solo alla sua attività letteraria e la sua notorietà la ha sempre usata anche quale megafono per un un impegno in nome della libertà e giustizia, valori spesso dimenticati dalle dittature sudamericane ma anche dai paesi del “socialismo reale”, oltre che internazionalmente contro la pena di morte o per il disarmo.

Amico di Fidel Castro, che ha definito “uno dei grandi idealisti del nostro tempo”, ma cui ha sempre chiesto più democrazia, accanto a lui ha assistito all’Avana alla messa del Papa durante la storica visita pontificia del 1998. Anche per questo, tra tante polemiche, è sempre vissuto più all’estero che nel proprio paese.

Questo specie dopo che negli anni ’80 fu pretestuosamente associato dai militari boliviani alle attività dei guerriglieri dell’M-19, voci riprese quando si adoperò attivamente per le trattative di pace, poi fallite, promosse dal presidente conservatore Betancur.

Certi suoi discorsi, davanti a alte assise internazionali, sono rimasti celebri, assieme alla precisazione che il suo nemico principale era l’imperialismo americano solo perché, da latino americano, è con esso che aveva diretta e quotidiana lotta.

Proprio come il suo Arcadio Buendia a Macondo invasa da una grande piantagione di banane statunitense. E allora ‘Gabò, come lo hanno chiamato fan e amici, ha usato la letteratura quale mezzo per rompere la solitudine della sua gente.

L’ultima volta che Marquez si è fatto vedere in pubblico è stato lo scorso 6 marzo, giorno del suo 87° compleanno. In quell’occasione, Gabo aveva brevemente salutato davanti alla sua abitazione i cronisti. Camicia azzurra e vestito grigio, Garcia Marquez aveva ascoltato sorridendo un gruppo musicale che ha interpretato in suo onore “Mananitas”, popolare canzone messicana.

“Per sempre Gabriel”, si legge in un titolo a tutta pagina sul quotidiano di Bogota El Espectador. “Mille anni di solitudine e tristezza per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi. Solidarietà e condoglianze a Gabo e la famiglia”, ha scritto in un tweet il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos.

Santos ha parlato con Mercedes, moglie di Garcia Marquez “e ha messo a disposizione l’aereo presidenziale” affinché la famiglia valuti di portare il corpo dello scrittore in patria. Lo ha reso noto l’ambasciatore di Bogotà in Messico, Josè Gabriel Ortiz, all’emittente Caracol, ricordando che “i messicani lo consideravano più messicano che colombiano: in molte occasioni ho dovuto dire in giro: “No, lui è colombiano””, ha aggiunto il diplomatico.

“È morto un grande scrittore, le cui opere hanno dato una grande diffusione e un grande prestigio alla nostra lingua”: così ha reso omaggio a Garcia Marquez il suo collega peruviano Mario Vargas Llosa. In brevi dichiarazioni alla stampa ad Ayacucho, Vargas Llosa – che è stato amico di Garcia Marquez per anni, fino a una clamorosa rottura nel febbraio del 1976, segnata da un pugno in faccia con il quale il peruviano colpì Gabo in un cinema di Città del Messico, per motivi mai chiariti – ha sottolineato che “i suoi romanzi continueranno a vivere e a conquistare lettori ovunque” prima di concludere con “condoglianze alla sua famiglia”.

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