Roma. Traffico d’armi. L’indiziato numero uno della ragione della morte di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin – uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 – fa capolino fin da subito, meno di due mesi dopo l’esecuzione dei due giornalisti.
A mettere l’ipotesi nero su bianco è il Sisde, il servizio segreto interno. Che in un’informativa riservata del maggio 1994, ora desecretata dalla Camera, suggerisce anche i nomi di quattro possibili mandanti. Tutti somali. Non solo. Le fonti del Sisde puntano subito il dito contro la cooperativa italo-somala Somalfish, sui cui pescherecci sarebbero transitate le armi.
In quell’informativa – trasmessa, tra gli altri, al ministero dell’Interno e alla Procura di Roma – si delinea subito il possibile filo d’Arianna che attraversa la vicenda Alpi-Hrovatin e la fitta coltre di misteri che da 20 anni la circonda. In particolare, il Sisde indica, sulla base di non meglio precisate “fonti fiduciarie”, quattro somali come “probabili mandanti” dell’omicidio: il colonnello Mohamed Sheikh Osman (trafficante d’armi del clan Murasade), Said Omar Mugne (amministratore della Somalfish), Mohamed Ali Abukar e Mohmaed Samatar. Fatale, per i due reporter, sarebbe stato il viaggio al porto di Bossaso, dove sarebbero saliti a bordo della motonave “21 ottobre”, vascello della Somalfish, e avrebbero documentato una partita d’armi marchiata CCCP.
Ma non è tutto. Tra gli incartamenti desecretati c’è anche la nota del Sisde, sempre del 1994 e la cui esistenza è già emersa nel corso dei processi, in cui si indicavano come “mandanti o mediatori tra mandanti ed esecutori del duplice omicidio” il faccendiere Giancarlo Marocchino ed Ennio Sommavilla, un altro connazionale ben introdotto in Somalia.
L’informativa, però, all’epoca viene girata al Sismi (e solo al Sismi), il servizio segreto esterno. Come si evince da un memorandum compilato dal Sisde nel 2002 per il Copaco, il Sismi di fatto stoppa i cugini smentendo la veridicità delle affermazioni. E qui il filo rosso s’interrompe. Fino al novembre del 1997 quando, attraverso il Cesis, la nota viene finalmente inoltrata alla procura di Torre Annunziata, nell’ambito del processo penale “Cheque to Cheque”.
Poco prima, a fine ’96, spunta unaltra informativa, stavolta del Sismi, nella quale si sottolinea che, secondo ambienti dell’Olp, il mandante dell’omicidio di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin sarebbe stato il generale Aidid, signore della guerra somalo, utilizzatore finale del traffico d’armi, poi ‘stornato’ in Yemen per i reduci afghani. Marocchino sarebbe stato implicato nel traffico, usando per lo scopo alcune navi della cooperazione Italia-Somalia.
Il memorandum del 2002 compilato dal Sisde è una sorta di ‘bigino’ del caso Alpi-Hrovatin. Innanzitutto ci si sofferma sul ruolo di Mugne, l’amministratore della Somalfish. Già uomo forte di Barre in Italia, dove studia e prende casa a Bologna, sarebbe il dominus che gestisce il traffico d’armi verso la Somalia attraverso i pescherecci della società.
I servizi lo segnalano come parte attiva in un traffico di artiglieria leggera e kalashnikov verso il suo paese natale nel dicembre del 1994. Abbandonata la Somalia, Mugne si è poi trasferito in Yemen, dove avrebbe continuato (stando alle carte) ad esercitare la professione di trafficante, qui legato a doppio filo con Osama bin Laden. Ascoltato dai magistrati che hanno indagato sul caso, ha sempre negato ogni coinvolgimento.
Nel rapporto torna poi la figura di Marocchino, legato per via della moglie somala al presidente ad interim Ali Mahdi e primo ad essere intervenuto sul luogo dell’omicidio. Quel che se ne ricava è la figura di un avventuriero con le mani in pasta ovunque, in buoni rapporti con le diverse fazioni in guerra in Somalia e punto di riferimento per i contingenti militari dell’operazione Restore Hope dell’Onu. Tanto che nel 1993, recita il memorandum sulla base di informazioni del Sismi, “in un contesto di collaborazione internazionale, all’interno del compound di proprietà di Marocchino a Mogadiscio, sarebbe stato individuato un container carico di armi e munizioni”.
Se, però, il servizio di intelligence esterno smentisce un suo ruolo diretto nell’affaire Alpi-Hrovatin, non ne esclude uno “indiretto”. Ovvero “la complicità da parte del capo della sicurezza di Marocchino agli esecutori del duplice omicidio, all’insaputa dello stesso Marocchino”. Informativa che viene trasmessa agli organi inquirenti il 29 dicembre del 1994. Marocchino ha sempre negato ogni addebito e i processi che si sono svolti non lo hanno toccato ed anzi è stato parte offesa per calunnia.