Sordità, Napolitano dà “voce” alla lingua dei segni

di Speranza Lettera

 Roma. “Che voleva dire la mimica di chi mi stava attorno, la bocca atteggiata a cerchio e tirata ad abbozzare smorfie diverse, le labbra in diverse posizioni?

‘Sentivo’ qualcosa di diverso a seconda che si trattasse della tristezza o della soddisfazione, e i concetti più semplici erano ancora più misteriosi. Ieri, domani, oggi. Il mio cervello funzionava al presente. Che significavano il passato e il futuro?”.

E’ la voce della sordità che si interroga, quella di Emmanuelle Laborit ne “Il grido del gabbiano”. Una penombra del territorio odierno che pullula di udenti che scorgono una certa prevedibilità nelle domande retoriche di questo limbo latente: “Devi essere sordo per capire”, come cita Willard J. Madsen, docente sordo del Gallaudet College, in una sua poesia. E’ la realtà di chi, quotidianamente, escogita strategie per poter comunicare, relazionarsi, emozionarsi, il percorso di una vita da affrontare camminando a braccetto con una guida come la “Lis”, l’acronimo della lingua dei segni italiana qualificata ufficialmente come una natura linguistica a tutti gli effetti: è il modello che hanno scelto di seguire gli alunni dell’Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi “Antonio Magarotto” di Roma a cui ha fatto visita, mercoledì mattina, Giorgio Napolitano, insieme alla moglie Clio.

Una mattinata diversa per il capo dello Stato che ha scelto di depennare i suoi impegni istituzionali per seguire, tra i banchi di scuola, una lezione di educazione civica: i componenti della classe, equamente divisa in bambini sordi e bambini udenti, si sono presentati a turno con il loro nome di battesimo espresso in “segni” decodificati da un’educatrice ed hanno, poi, simulato una seduta di lavoro del Parlamento impersonando alcuni ministri, recitando sotto gli occhi divertiti del presidente della Repubblica che ha prontamente stretto la mano alla sua piccola “collega” donna.

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“Una scuola come questa – ha detto il presidente Napolietano – dovrebbe essere più conosciuta da tutti gli italiani. Purtroppo abbiamo il difetto di parlare poco delle cose buone del nostro Paese. Questa scuola è un grande esempio di umiltà, sensibilità e solidarietà”.

Un messaggio che ha dato luce a questa penisola affamata di conoscenza, desiderosa di appartenere ad un gruppo, di avere un posto nel mondo, una riflessione che ha spinto tutti i ragazzi e le maestre dell’Istituto a ringraziare calorosamente Napolitano sulle note dell’immancabile Inno di Mameli, rigorosamente cantato in lingua dei segni, con un regalo personalizzato, una bandiera italiana interamente colorata con le impronte delle mani degli alunni, salutandolo con un originale “applauso dei sordi”, sventolando il palmo delle mani sollevate in aria.

“Quando ho compreso, – scrive Laborit – con l’aiuto dei segni, che ieri era alle mie spalle e domani dinanzi a me, ho fatto un balzo fantastico. Un immenso progresso, che gli udenti stentano a immaginare, avvezzi come sono a comprendere sin dalla culla le parole e i concetti ripetuti instancabilmente, senza neppure rendersene conto. Ho compreso che le parole designavano le varie persone. Papà, era lui. Mamma, era lei. Io ero Emmanuelle, esistevo, avevo una definizione. Essere qualcuno, comprendere che si è vivi. Ho potuto dire ‘IO’. Prima, dicevo ‘LEI’, parlando di me. Cercavo la mia collocazione nel mondo, chi ero e perché. E mi sono trovata”.

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