Ddl riforma costituzionale, primo via libera del Senato

di Redazione

 Roma. I senatori hanno dato il loro primo via libera alla riforma della Costituzione che riduce il Senato a Camera di rappresentanza delle autonomie con meno di un terzo dei membri attuali, concentrando a Montecitorio il potere di fare le leggi e dare la fiducia al governo.

Hanno votato a favore del ddl, che il premier Matteo Renzi ha preso a simbolo dello sforzo riformatore della politica italiana, la maggioranza di governo e Forza Italia, mentre M5s, Lega Nord, Sel e alcuni dissidenti del Pd e Fi hanno espresso il loro dissenso non partecipando al voto. Risultato finale: 183 sì, nessun voto contrario, 4 astenuti. Quello che si è concluso oggi è soltanto il primo di almeno quattro passaggi parlamentari della riforma e, dopo l’approvazione definitiva il governo si è impegnato a sottoporla a referendum popolare.

I 40 articoli del ddl Boschi sono una rivoluzione per l’attuale assetto costituzionale, a partire dal tramonto del bicameralismo perfetto e dalla fine dell’elettività di primo grado dei senatori.

La fine del Senato elettivo è tra le novità maggiori del ddl. Da 315 componenti si scende a 100, nessuno dei quali eletto direttamente dal popolo. Il futuro Senato sarà composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 nominati dal presidente della Repubblica (non più a vita ma per 7 anni non rinnovabili).

Aparte questi 5, 74 saranno eletti dai consiglieri regionali tra i propri componenti, gli altri 21 verranno scelti tra i sindaci del territorio, 1 per regione oltre a Trento e Bolzano. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà “in proporzione alla loro popolazione” ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato dei senatori, che godranno dell’immunità come i colleghi deputati – coincide con quella che si ha nei ‘propri’ organi territoriali.

Tramonta la funzione legislativa esercitata collettivamente dalle due Camere prevista dall’art. 70 della Carta. Innanzitutto Palazzo Madama non darà più la fiducia al governo. La competenza legislativa ‘normale’ sarà quindi appannaggio della mera Camera dei deputati salvo alcune materie (come quelle etiche, introdotta con un emendamento approvato, con voto segreto, contro il parere del Governo). Sulla legge di bilancio, ad esempio la Camera potrà avere l’ultima parola decidendo, a maggioranza semplice, di non conformarsi ai rilievi posti dal futuro Senato. Che, tra l’altro, sarà anche escluso dal potere di concedere amnistia e indulto.

Punto tra i più delicati del testo, le firme necessarie per i referendum restano 500mila, con il quorum del 50% più uno degli aventi diritto. In caso si arrivi a 800mila firme il quorum, invece, si abbassa alla maggioranza dei votanti dell’ultima tornata elettorale. Novità assoluta, i referendum propositivi e d’indirizzo. Infine le leggi di iniziativa popolare: le firme necessarie passano da 50mila a 150mila ma discussione e voto saranno garantiti dai regolamenti parlamentari.

La scomparsa delle Province dalla Costituzione e della legislazione concorrente tra Stato e Regioni sono il cuore di questa parte del ddl, che, in generale dà più competenze allo Stato centrale permettendo anche il commissariamento di Regioni ed enti locali in caso di grave dissesto finanziario ma prevedendo la delega di ulteriori competenze alla alle Regioni a Statuto ordinario ‘virtuose’ in quanto a bilancio. Lo Stato, inoltre potrà esercitare una “clausola di supremazia” verso le Regioni a tutela dell’unità della Repubblica e dell’interesse nazionale.

Saranno applicabili subito dopo l’entrata in vigore del ddl alcune norme chiave come la soppressione del Cnel, la previsione di un tetto agli stipendi di Presidente e consiglieri regionali – mai superiore a quello dei sindaci dei capoluogo di Regione – e la ‘norma anti-Batman’ che, sulla scia dei recenti scandali, blocca “rimborsi e trasferimenti monetari” pubblici ai gruppi politici regionali.

La platea per l’elezione del presidente della Repubblica resta il nodo non sciolto. Servirà la maggioranza dei 3/5 dopo ilquarto scrutinio e basterà la maggioranza assoluta solo dopo l’ottavo. In ogni caso il ministro Boschi si è detta pronta a intervenire alla Camera per rafforzare il ruolo di garanzia e di terzietà del Capo dello Stato.

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