Roma. Un incontro durato due ore quello avvenuto lunedì mattina tra i vertici Cgil, Cisl e Uil sul Jobs act ma nessun accordo è stato trovato, solo l’impegno a proseguire il confronto per un’azione unitaria.
Sul fronte dell’articolo 18 infatti Cisl e Uil mantengono una posizione attendista in vista di conoscere i dettagli del provvedimento che Matteo Renzi intende proporre. I sindacati si sentono tagliati fuori dal premier che – accusa la leader della Cgil, Susanna Camusso – sembra invece dialogare solo con Confindustria.
Il punto è la garanzia alle imprese della libertà di licenziare, una cosa mai detta prima in questo Paese.La Cgil da parte sua sarà già in piazza San Giovanni a Roma il 25 ottobre e preannuncia lo sciopero generale se ci sarà un’accelerazione del Governo con un decreto. Camusso resta all’attacco: Renzi non sa nemmeno che i co.co.co non esistono più. Adesso esistono altre forme di contratti: voucher, contratti a progetto e associazioni in partecipazione.
Per quanto riguarda la mobilitazione la leader della Cgil ha detto: è stata una discussione più di valutazioni e proposte che dimobilitazioni.Intanto, lunedì sera è in programma la direzione del Pd da molti descritta come una resi dei conti interna ai democratici giocata proprio sulla riforma del mercato del lavoro.
La strada è molto stretta, ha ammesso lex segretario Pierluigi Bersani riferendosi alla possibilità di trovare una sintesi tra le varie anime democratiche sul tema della riforma del lavoro. Alla vigilia della direzione infatti nessun accordo è stato trovato e il Pd rischia una spaccatura profonda sullarticolo 18.
La bandiera che Renzi vuole stracciare perché non serve a niente e che, al contrario, la sinistra del Pd ha scelto come vessillo della propria esistenza tanto che in molti, come lex viceministro delleconomia Stefano Fassina, hanno già detto che una riforma così non la votano.
Se non si arriverà a unintesa prima dellincontro del pomeriggio, la direzione si aprirà senza rete e – salvo improbabili ripensamenti del premier – in serata ai democratici non resterà che far la conta dei voti e, ancora una volta, di vincitori e vinti. Con i numeri che sono dalla parte del segretario, che controlla almeno il 68% dei circa 200 membri del parlamentino e che potrebbe allargare ancora i suoi consensi.