Liquami scaricati nel Volturno, arrestato il “re del latte” casertano

di Redazione

 Caserta. Gli agenti del Corpo forestale dello Stato di Caserta hanno sottoposto agli arresti domiciliari Giuseppe Gravante, 75 anni, di Piana di Monteverna, storico patron di società casertane operanti nel settore zootecnico e agroalimentare per la produzione, trasformazione ed imbottigliamento del latte a marchio“Foreste Molisane”.

E’ accusato di violenza e minaccia. Secondo i pm della Procura di Santa Maria Capua Vetere, Gravante, con la minaccia del licenziamento, avrebbe costretto alcuni suoi dipendenti dell’azienda agricola a indirizzo zootecnico a lui facente capo – la Nat.Ali, con sede legale a Gioia Sannitica, in località “Fossolagno” – ad espletare attività illecita consistente: nello smaltimento, direttamente nel fiume Volturno, degli effluenti dell’allevamento di bestiame e dei reflui provenienti dalle sale di mungitura; nello sversamento, con le stesse modalità, delle acque di lavaggio delle stalle e delle sale di mungitura, addizionate a prodotti detergenti ed acidi di notevole intensità; negli interramenti e bruciamenti di rifiuti speciali.

L’azienda in questione è nota in quanto il titolare non solo ha vari allevamenti dislocati a Gioia Sannitica, ma, nello stesso complesso aziendale, dell’estensione di oltre 500 ettari, è proprietario anche di una centrale del latte, dove, fino al novembre dello scorso anno, avveniva la trasformazione e l’imbottigliamento di latte vaccino, rivenduto con il marchio commerciale “Foreste Molisane”.

Le indagini sono state avviate a seguito di denuncia presentata da un ex dipendente di Gravante, il quale si è autodenunciato, per asserito senso civico, ammettendo di aver preso parte, per lunghi anni, alla commissione di tali condotte illecite e di averle poste in essere su ordine dell’imprenditore, sotto stringenti minacce di licenziamento ove non avesse adempiuto.

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La denuncia ha trovato immediato riscontro investigativo con il rinvenimento nell’azienda di un’attività di smaltimento illecito di rifiuti speciali effettuata direttamente nel fiume Volturno, grazie a un sistema di pompe idrauliche nascoste e canalizzazioni approntate all’occorrenza. L’attività di smaltimento – consumatasi dal 1994 fino a qualche mese fa – veniva svolta con modalità tali da eludere i controlli: ad esempio, in orario serale e notturno, oppure in occasione di piogge e temporali, approfittando, in tal caso, della circostanza che le acque del fiume fossero state rese limacciose dalle acque piovane.

Qualche anno fa il Wwf denunciò lo stato di degrado del fiume Volturno e, di conseguenza, del litorale domitio. Furono svolte indagini penetranti – consistite anche in attività di telerilevamento, a partire dal 2011, da parte del Corpo Forestale e della Guardia costiera di Napoli. Nel corso delle indagini furono posti sotto sequestro una serie di scarichi illeciti, alcuni provenienti proprio da aziende bufaline. In quell’occasione, peraltro, non erano emerse le sopra descritte attività illegali dell’azienda in esame, evidentemente anche per la notevole abilità posta dal Gravante e dai suoi collaboratori nell’eludere i controlli.

Questa volta, invece, anche grazie all’autodenuncia da parte del dipendente, le investigazioni si sono appuntate, a tutto campo, su questa grande azienda bufalina e hanno permesso di rompere il muro di omertà che proteggeva l’illecita attività protrattasi per una ventina di anni.

Alla prima autodenuncia sono seguite ben presto ulteriori circostanziate e concordanti dichiarazioni da parte di altri ex dipendenti, i quali hanno, allo stesso modo del primo dichiarante, ammesso di essere stati “costretti” a porre in essere siffatti reati con la minaccia di essere licenziati. Tutti gli ex dipendenti sono ora indagati a piede libero per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti.

Per avere un’idea della gravita dell’inquinamento arrecato dagli sversamenti illeciti nel fiume Volturno basti pensare che un allevamento bovino come quello in questione, della consistenza di tremila/tremilacinqucento capi, rilascia un carico organico specifico (cioè la quantità di sostanze organiche provenienti da un’utenza civile – o da utenza a questa assimilabile – convogliate in fognatura nell’arco temporale di un giorno) pari a quello di una città di circa 24mila persone.

Anche i rifiuti speciali prodotti dalle attività dello stabilimento di imbottigliamento del latte venivano smaltiti illecitamente nel terreno aziendale sito nel comune di Gioia Sannitica, all’interno di grosse buche all’uopo predisposte, con attività di tombamento e bruciamento di rifiuti. Un dipendente ha dichiarato che, all’epoca della centrale del latte, e comunque dal 1994 fino al 2008, ogni giorno si sono interrati e bruciati, su una superficie di circa 100 metri quadrati e a una profondità di circa tre metri, tutti gli scarti dell’azienda (bottiglie in tetrapak, in pe ed in pet, nonché etichette di carta e plastica), per un equivalente di circa 6,5 quintali al giorno. Così si operava, naturalmente, al fine di ottenere un risparmio sui costi di smaltimento, che si aggiravano sui 30 centesimi circa al chilo, oltre i costi di trasporto e affitto dei cassoni.

Facendo un rapido calcolo, approssimato per difetto, e moltiplicando il risparmio giornaliero (200 euro) per 365 giorni, può quantificarsi il risparmio di un anno in 72mila euro, e quello dei 15 anni effettivi di attività, in circa un milione di euro, risparmiati a scapito delle matrici ambientali, e cioè inquinando acqua, terreni e aria. Tutto ciò è avvenuto in terreni siti nel comune di Gioia Sannitica, cioè del comune che, nel 2007, ha ritenuto di conferire all’odierno indagato la cittadinanza onoraria, in quanto “re del latte”.

Nell’ordinanza del gip si legge che l’indagato “in realtà non voleva proprio sentir parlare del problema dei rifiuti. Pretendeva che gli scarichi fossero eliminati, pur senza fornirci mezzi adatti…questa era diventata una prassi”. In virtù della logica del profitto si realizzavano arricchimenti criminali.

Si legge ancora nell’ordinanza del gip: “…la situazione era insostenibile, gli animali erano immersi nei liquami. I liquami tracimavano ed intanto il Gravante riceveva un sussidio pubblico di circa 70 euro per il benessere di ciascun animale”.

In sostanza, Gravante non solo avrebbe smaltito illecitamente gli effluenti zootecnici, con relativo risparmio di impresa, ma, al contempo, ricevuto anche il contributo pubblico per il benessere di ciascun capo bovino che, nel frattempo, viveva ed annegava nei liquami. Al danno si aggiungeva quindi la beffa.

Ancora, sempre uno dei dipendenti raccontava: “…spesso il reso delle bottiglie veniva nuovamente distribuito per la produzione in corso e mischiato al latte fresco”.Il latte scaduto, quindi, sarebbe statomischiato con quello in lavorazione e poi commercializzato. Animali, terreni, acque, consumatori trattati tutti come meri strumenti per realizzare profitti a qualsiasi costo, in una logica del tutto contraria alla cultura contadina che, asseritamente, dovrebbe ispirare le imprese agricole e spingerle verso la gelosa tutela dei beni naturali, unica e preziosa loro risorsa.

Il Corpo Forestale – avvalendosi dei mezzi messi a disposizione dall’Esercito italiano, 21° Reggimento del Genio Guastatori di Caserta, e in collaborazione con i tecnici esperti dell’Arpac – nei prossimi giorni effettuerà saggi di scavo nella tenuta aziendale per rinvenire, caratterizzare e campionare i rifiuti occultati nel sottosuolo.

La Procura: “Ha ceduto il Latte Matese dal 1984”.“Giuseppe Gravante non è più titolare del marchio Latte Matese, che ha ceduto nel 1984, mentre è tuttora proprietario di Foreste Molisane”. Così la procura di Santa Maria Capua Vetere in relazione a notizie diffuse dal Corpo Forestale. “Il marchio ‘Matese’ è di proprietà di Newlat S.p.A da oltre trenta anni” precisa Angelo Mastrolia, il presidente della Newlat. “Gravante non ha alcuna relazione con il marchio Matese, tanto meno con la proprietà del marchio ovvero Newlat”.

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