Reyhaneh, impiccata per aver ucciso il suo stupratore

di Stefania Arpaia

 Teheran. È stato inutile l’appello del vicedirettore dell’Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa, Hadj Sahraoui, poche ore prima dell’esecuzione della donna iraniana che ha ucciso il suo stupratore.

“Il tempo sta per scadere per Reyhaneh Jabbari. – ha dichiarato l’uomo – Le autorità devono agire adesso per fermare l’esecuzione. Una simile punizione in qualsiasi circostanza rappresenta un affronto alla giustizia, ma eseguirla dopo un processo imperfetto che lascia grandi punti interrogativi sul caso rende la cosa più tragica”.

Tutto il mondo si era mobilitato in difesa della donna ma non c’è stato nulla da fare. Era stata condannata a morte dopo che, nel 2007, aveva ucciso Morteza Abdolali Sarbandi, ex dipendente del ministero dell’Intelligence di Teheran, che aveva tentato di violentarla. Per difendersi la giovane lo aveva accoltellato alle spalle, uccidendolo.

Arrestata all’età di 17 anni, è stata impiccata a mezzanotte nel carcere di Teheran dove era da tempo rinchiusa. Concessa la visita della madre poco prima dell’esecuzione della condanna, Sholeh Pakravan, che ha dichiarato: “Intervenite al più presto, non lasciatela morire. Credo che questa sia proprio l’ultima volta che l’ho vista e abbracciata”.

La speranza di salvare Reyhaneh si era diffusa dopo che l’impiccagione era stata rinviata due volte. Avrebbe potuto salvarsi solo con il perdono della famiglia dell’uomo ucciso, ma il figlio dello stupratore aveva chiesto che l’iraniana negasse di aver subito un tentativo di stupro. Richiesta rifiutata con coraggio dalla giovane donna.

Un post è comparso sulla pagina facebook che le era stata dedicata: “Rip Reyhaneh”. Al momento dell’uccisione erano presenti i parenti dell’aggressore.

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