Washington. Gli Stati Uniti costretti a rivedere ancora la propria posizione sulla lotta ai miliziani jihadisti dello Stato Islamico.
Il presidente americano Barack Obama ha chiesto al team della sicurezza nazionale di rivedere la politica Usa verso la Siria dopo aver realizzato che l’Is potrebbe non essere sconfitto senza una transizione politica nel Paese e la destituzione del presidente Bashar al-Assad.
Lo riferisce la Cnn che cita alcuni funzionari. La revisione chiesta da Obama è una tacita ammissione che la strategia iniziale nel tentare di contrastare l’Isis senza concentrarsi anche sulla deposizione di Assad è stata errata. Solo la scorsa settimana, la Casa Bianca ha organizzato quattro incontri con il team per la sicurezza nazionale, uno dei quali presieduto da Obama e gli altri dal segretario di Stato. Questi incontri, nelle parole dei funzionari, “sono stati guidati in larga misura su come la strategia sulla Siria si inserisce in quella contro l’Is”.
“Il problema del lungo regime in Siria è ora aggravato dalla realtà che per sconfiggere davvero l’Is, abbiamo bisogno non solo di una sconfitta in Iraq, ma di una sconfitta in Siria”, ha aggiunto.
Ad ottobre, gli Usa hanno sottolineato che la “strategia in Iraq” per contrastare i jihadisti era una priorità e le operazioni in Siria servivano per agevolare questa condizione in Iraq.
Washington sperava di avere tempo di addestrare e armare i ribelli siriani moderati per combattere l’Is e solo dopo il regime di Assad. Ma con l’esercito siriano libero – la forza militare che ha guidato la ribellione contro Damasco, considerata una forza laica – che combatte su due fronti (da una parte le forze di Assad e dall’altra gli estremisti dello Stato islamico e di gruppi come al-Nusra) i funzionari hanno ammesso che quella strategia non è più sostenibile.
L’attenzione del presidente americano verso la politica estera sarà sempre più accentuata nei prossimi mesi e nei prossimi due anni, dopo che nelle elezioni di metà mandato ha perso il controllo sia di Camera e Senato e quindi ha le armi spuntate in politica interna.
Ma dalla Casa Bianca, Obama può ancora influire sulla politica estera e i rapporti internazionali, strumenti per fare pressione sulla maggioranza dei repubblicani nel Congresso, come dimostra l’importante accordo raggiunto ieri con la Cina sull’ambiente e le emissioni di gas serra.
Un accordo che non piace affatto al Gop: ogni speranza di un accordo bipartisan tra democratici e repubblicani sulla questione è saltate ieri. Sia il leader della Camera, John Boehner, e il futuro leader del Senato, Mitch McConnell, hanno criticato l’annuncio.
Per McConnell il fatto che la Cina non abbia preso impegni precisi rappresenta un grande problema, visto che secondo il Gop gli standard imposti agli stati americani dall’amministrazione Obama stanno creando scompiglio e mettendo un freno alla crescita.
A rincarare la dose ci ha pensato Boehner: “La decisione di Obama è l’ultimo esempio della crociata del presidente contro energia affidabile e basso costo che sta già facendo diminuire i posti di lavoro e colpendo la classe media”.
E questo tema si intreccia con l’altro dossier caldo che Obama si troverà sul tavolo al suo ritorno dall’Asia: quello dell’oleodotto Keystone Xl, che dovrebbe attraversare Canada e Stati Uniti fino al golfo del Messico. Progetto appoggiato dai repubblicani ma che la Casa Bianca – fanno sapere da Washington – è pronta a bloccare usando il veto presidenziale.