Mozzarella, “nascondevano” la brucellosi: 4 arresti nel Casertano

di Redazione

 Caserta. Due imprenditori e due veterinari sono finiti, venerdì mattina, agli arresti domiciliari nell’ambito di una vasta indagine sul commercio di mozzarella di bufala Dop contraffatta e dannosa per la salute dei consumatori.

Si tratta di Paolo e Pasquale Marrandino, proprietari dell’omonima azienda di allevamenti bufalini e di produzione di mozzarella, situata a Castel Volturno (Caserta), e di Andrea e Carmine Russo, padre e figlio, di 57 e30 anni,entrambi veterinari.

Le accuse formulate nell’ordinanza di custodia cautelare, eseguita dagli uomini del Corpo forestale ed emessa dal gip Sergio Enea del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sono, a vario titolo, di associazione per delinquere, commercio di sostanze pericolose per la salute pubblica e per l’alimentazione, la diffusione di malattie degli animali, ricettazione, contraffazione agroalimentare e altri reati.

L’indagine, iniziata circa due anni e mezzo fa, è stata svolta dal Nucleo agroalimentare e forestale (Naf) di Roma e dal comando provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Caserta, coordinati dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Emersa l’esistenza di un sodalizio criminale formato da allevatori, produttori caseari e veterinari, che aveva messo in piedi un sistema illecito fraudolento, finalizzato a nascondere, per mere ragioni di guadagno, i casi di brucellosi presenti all’interno degli allevamenti d’interesse del sodalizio stesso.

La normativa tesa all’eradicazione della brucellosi negli allevamenti di bufale in Europa, in Italia e, in particolare, in Campania, è molto severa: essa prevede – nell’ambito del programma europeo di eradicazione della brucellosi e proprio al fine di eliminare il rischio di infezione – addirittura l’abbattimento dei capi che siano risultati affetti da brucellosi nel corso dei controlli dell’Asl (profilassi di Stato), nonché il declassamelo e la perdita della qualifica sanitaria di allevamento indenne o ufficialmente indenne, che permette la libera vendita dei prodotti lattiero-caseari, e persino l’esportazione fuori dai confini nazionali, nonché la perdita della denominazione “Dop”.

E’ per questo motivo – cioè per evitare tali effetti, ma anche per evitare l’ulteriore danno costituito dall’aborto, indotto nelle bufale gravide dalla malattia, con conseguente mancata lattazione degli animali – che gli indagati cercavano di “anticipare” la profilassi di Stato e quindi: eseguivano personalmente o con l’ausilio dei veterinari complici, all’interno degli allevamenti, gli esami di laboratorio per la diagnosi della brucellosi, con appositi kit la cui vendita e importazione sono vietati; in particolare, essi utilizzavano dei kit diagnostici provenienti dagli Stai Uniti d’America; facevano sparire dall’allevamento i capi malati (o vendendoli, o trasferendoli in altri allevamenti o abbattendoli) in modo da evitare o ridurre il contagio della malattia agli altri bufali, e soprattutto il declassamento del loro allevamento; somministravano rilevanti quantitativi di medicinali del tipo vaccino RB51, denominato “Bovishof”, proveniente da Paesi extra-Ue, quali la Corea del Sud, in modo preventivo, per evitare l’aborto, e quindi la scomparsa della lattazione.

Per massimizzare i guadagni, effettuavano tali “vaccinazioni illegali” (illegali perché le vaccinazioni sono ammesse nelle nostre zone solo su bufali tra i sei e i nove mesi di età e solo se effettuate da veterinari dell’Asl, nell’ambito della profilassi di Stato}, in epoca successiva al parto e precedente all’ulteriore fecondazione (che avveniva subito dopo, al fine di massimizzare i profitti); l’inoculazione del vaccino, conseguentemente, finiva per coincidere proprio con la fase della lattazione (vietata in quanto, in tal modo, il batterio vivo della brucella contenuto nel vaccino passa nel latte), con conseguente rischio per la salute umana, derivante dalla contaminazione del latte dal vaccino RB51 (pericoloso per la salute umana quanto la stessa brucellosi).

Così facendo il gruppo aggirava il sistema legale della profilassi di Stato, in dispregio delle norme sul punto e soprattutto in dispregio della salute umana e, in particolare, sia della salute del consumatore, sia di quella degli addetti alle varie lavorazioni del prodotto, oltre a provocare la grave adulterazione del prodotto mozzarella campana Dop.

I due allevatori e i due veterinari sono accusati, perciò, di aver somministrato, in concorso tra loro, ai capi bufalini adulti (oltre cioè i nove mesi di età) sostanze vietate, quali appunto il vaccino RB51, così provocando non solo la diffusione della malattia della brucellosi (brucella selvaggia), che veniva in parte “nascosta”, ma anche del batterio vivo RB 51 (brucella da vaccino), entrambi pericolosi per il patrimonio zootecnico nazionale, nonché per la salute umana. Ciò è stato confermato sia i consulenti tecnici nominati dalla Procura, sia esperti dell’Istituto zooprofilattico di Teramo, centro di eccellenza nazionale, che ha eseguito gli esami sul sangue prelevato dalle bufale).

Le analisi effettuate dall’Istituto di Teramo hanno evidenziato, infatti, sia che i capi di bestiame sequestrati erano stati sottoposti alla somministrazione di dosi massicce di vaccino in età pubere, sia che ciò era avvenuto molto verosimilmente anche per occultare, durante i controlli sanitari, la presenza della malattia infettiva della brucellosi (brucella selvaggia}. Nel corso delle investigazioni, infatti, si è scoperto che l’infezione da brucellosi, in presenza del vaccino , potrebbe non essere rilevata con il metodo tradizionale di analisi utilizzato nella profilassi di Stato (metodo Sar “Siero Agglutinazione Rapida”) in Italia e all’estero, bensì ricorrendo al metodo di “seconda analisi” (metodo FdC “Fissazione del Complemento. L’Istituto di Teramo ha utilizzato questo secondo tipo di esame, circostanza che ha consentito, appunto, di fare emergere la. presenza di capi affetti da brucellosi o comunque contaminati dal batterio vivo della brucella RB5 1, prima non evidenziati con la semplice Sar.

L’operazione è servita a svelare – e quindi si spera a stroncare – la criminale pratica che gli allevatori, con la compiacenza, o addirittura il suggerimento di alcuni veterinari, mettono in atto per mantenere elevato il numero delle bufale gravide, al fine di garantirsi la produzione del prezioso latte. Sono stati infatti i due veterinari oggi arrestati ad ideareil piano, a suggerirlo ai due allevatori nonché ad altri nei cui confronti si procede a piede libero, e, comunque, a metterlo in pratica.

I titolari dell’allevamento, per massimizzare i guadagni, non solo nascondevano la malattia infettiva delle bufale – eludendo i controlli messi in atto dalle autorità sanitarie territoriali e nazionali a partire dall’anno 2000 – ma, dopo aver sfruttato fino allo stremo gli animali per ricavarne quanto più latte possibile, procedevano infine al loro abbattimento, allo scopo di percepire i contributi previsti dall’Unione Europea (previsti in caso di abbattimento).

Durante le investigazioni – che si sono avvalse di intercettazioni telefoniche, perquisizioni, escussione di persone informate sui fatti, analisi di campioni ematici prelevati dalle bufale, esiti di una consulenza tecnica affidata ad alcuni esperti, tra i massimi specialisti, a livello europeo, in materia di brucellosi – si è proceduto al sequestro di oltre 2.000 bufale, provenienti da vari allevamenti, al blocco della libera vendita del latte prodotto nei suddetti allevamenti e alla distruzione del latte infetto. Fondamentale è stato il prezioso ausilio specialistico dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, centro di eccellenza e referenza nazionale di rilievo europeo per la prevenzione della brucellosi, che ha sottoposto le bufale sequestrate a uno speciale protocollo operativo.

II Ministero della Salute, con il quale la Procura si è rapportato nel corso delle indagini, a seguito di questa inchiesta ha modificato il protocollo operativo per l’eradicazione della brucellosi. La complessa e lunga operazione, ancora in fase di ultimazione, intende riportare gli allevamenti posti sotto osservazione, attraverso l’applicazione dello specifico protocollo, a un regime di integrità sanitaria, sicuro per gli operatori e per i consumatori.

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