Roma – Matteo Renzi mette in guardia quanti sono tentati dagli appuntamenti parlamentari prossimi venturi per cercare di impallinare l’esecutivo. “Se viene meno l’architrave delle riforme, viene giu’ tutto”. Come dire, nessuno e’ al sicuro e una guerra per bande interna al Pd, nel delicato momento dell’elezione del presidente della Repubblica, non gioverebbe a nessuno.
Tanto meno alla sinistra del partito, a cui il premier cerca di spuntare, una ad una, tutte le frecce puntate su Palazzo Chigi, dalla delega fiscale alle riforme, passando per i provvedimenti economici.
L’occasione e’ fornita da una assemblea dei deputati che ha nelle riforme l’unica voce all’ordine del giorno, ma che e’ animata da umori contrastanti derivanti dall’incidente del 3%, ossia il limite per la punibilità’ dei reati fiscali contenuto del decreto legislativo del 24 dicembre.
La famigerata ‘manina’ che ha piazzato nel provvedimento la norma cosiddetta ‘Salva Silvio’ appartiene allo stesso premier, come lui stesso sottolinea: “La ‘manina’ e’ la mia”, spiega Renzi rivendicando la paternita’ della norma del 3 per cento del patrimonio: “Non lo dico perche’ voglia difendere qualcuno dei miei, ma perche’ abbiamo discusso, approfondito punto per punto, entrati nel merito.
Questo e’ il modo in cui un governo governa. L’idea che qualcuno ti confeziona un pacchetto a me non va. E’ l’assunzione di un governo che fa politica. Se qualcuno vuole un governo che mette la firma su quello che preparano i tecnici e se ne va ha sbagliato governo”, ha aggiunto. La soglia dovrebbe rimanere, ma solo per i reati meno gravi, quelli frutto di ‘sviste’ o dichiarazioni ‘imperfette’. Comunque non dolose. Nel caso dovesse accertarsi, invece, la commissione di un reato, attraverso la falsificazione di documenti o in caso di frode sistematica, si procedera’ come prescrive il codice penale.
Un incontro, stamane con il ministro Padoan, sembra essere stato risolutivo. Il premier e il ministro, si sono trovati d’accordo su un “provvedimento molto piu’ ricco e piu’ ampio” che sara’ presentato al consiglio dei ministri del 20 febbraio, data confermata anche in serata da Renzi, nonostante la minoranza Dem chiedesse di anticipare il Cdm prima dell’elezione del Capo dello Stato.
Un particolare, questo, che sembra avvalorare la tesi dei vasi comunicanti: riforme istituzionali, elezione del Capo dello Stato e fisco sono, in sostanza, tre partite che si giocano contemporaneamente. Questa l’idea della minoranza Pd che vede materializzarsi lo spettro di un accordo tra Renzi e Berlusconi sull’elezione del Capo dello Stato. In questa chiave l’invito rivolto dal premier ai parlamentari ad “allacciare le cinture!”, sembra presagire turbolenze nella tenuta della maggioranza e nel Pd.
Renzi, tuttavia, ci tiene a precisare che non c’e’ da avere paura. “Allacciate le cinture” perche’ di qui in avanti ogni prova che governo e maggioranza si troveranno ad affrontare potra’ risultare decisiva per il futuro della legislatura: “Esistere o resistere”, e’ l’alternativa. Ma la seconda non sembra nemmeno essere contemplata dal capo del governo che richiama tutti alla missione stessa della maggioranza e del governo che essa sostiene: cambiare faccia al Paese, cominciando dal superamento del bicameralismo paritario.
Che e’ stata poi la condizione posta da Napolitano nel momento i cui accetto’ un nuovo mandato. “Il presidente Napolitano, il 22 aprile, ha fatto un discorso molto chiaro – ha ricordato Renzi – dopo il fallimento della trattativa sul Quirinale occorreva fare davvero le riforme o questa legislatura e’ fallita. Questo il ragionamento che tutti insieme ci affrettammo a considerare uno spartiacque”. Con una nuova elezione del capo dello Stato all’orizzonte, Renzi non vuole correre il rischio di ritrovarsi nell’impasse che porto’ alla fine della segreteria Bersani. Apre al confronto, il premier, anche se precisa che le riunioni non avranno altro scopo che “definire il metodo” e non serviranno a proporre nomi. Il premier non intende, infatti, precludersi alcuna possibilita’ di dialogo per arrivare a una elezione senza traumi del nuovo inquilino di Palazzo del Quirinale. Non può’ nemmeno essere considerato casuale che, nel corso della stessa assemblea, abbia fatto riferimento a quella parte dei Cinque Stelle che “sta decidendo dove andare”.
Lontana dal placarsi, la minoranza dem ribatte. Uscendo dall’Aula dei gruppi, ben prima dell’intervento di Renzi, Pier Luigi Bersani affonda il colpo su fisco e Jobs Act: “Si parla tanto di proporzionalità’ per l’evasione fiscale, nel senso che chi ha di piu’ puo’ evadere di piu’, mentre per i licenziamenti la proporzionalità’ non vale più’…”.