“Ah…l’hai sentita l’altra scossa?. Uhhh…a Carpi pure…pure fino a Cavezzo…stanno facendo una proposta di fare tutto di legno…dobbiamo preparare tutte le società…quattro società sicure!…secondo me dobbiamo iniziare a lavorare…già un paio di cutresi sono andati prima di noi…eh!…che noi parliamo e quelli fanno”.
Questa la conversazione intercettata del 29 maggio 2012, il secondo giorno del sisma emiliano. La telefonata è delle 13.29, la scossa devastante, annota l’ordinanza era stata alle 9.03. Blasco e Valerio sono due indagati ritenuti tra gli organizzatori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, contestata nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta Aemilia.
Risate sul terremoto in Emilia come era accaduto anche all’Aquila quindi. È un particolare emerso nelle intercettazioni di un colloquio tra due indagati nell’ambito della maxi inchiesta sulla ’ndrangheta in Emilia, riportate nell’ordinanza del gip del tribunale di Bologna di applicazione delle misure restrittive.
Nella parte dell’ordinanza sulle infiltrazioni nell’attività di ricostruzione post-terremoto si riporta una conversazione tra Gaetano Blasco e Antonio Valerio intercettata il 29 maggio 2012 alle 13.29, qualche ora dopo la scossa devastante delle 9.03. “È caduto un capannone a Mirandola” dice il primo; “eh allora lavoriamo là” risponde il secondo ridendo. “Ah si, cominciamo facciamo il giro…”, ribatte Blasco.
“Si può dire che la ’ndrangheta – osserva il gip Alberto Ziroldi – arriva prima dei soccorsi, o comunque in contemporanea”. Per il giudice delle indagini preliminari, l’attività investigativa, “ha permesso di ricostruire con chiarezza il perimetro soggettivo all’interno del quale ha avuto luogo l’infiltrazione criminale» che si è «prevalentemente realizzata attraverso una perversa joint venture tra l’impresa Bianchini Costruzioni srl di San Felice sul Panaro ed uno dei principali esponenti della consorteria investigata, ovvero Michele Bolognino”.
In un territorio particolarmente indebolito dal terremoto “si creano così le condizioni ideali – scrive il gip – che consentono al sodalizio, attraverso una sorta di effetto domino che coinvolge altre attività imprenditoriali legate a quella inizialmente condizionata, di estendere la propria influenza sulla vita socio economica del territorio, radicandovi i propri interessi criminali”. Si tratta di “una peculiarità di tutti i sodalizi mafiosi e anche l’associazione ’ndranghetista emiliana – conclude il gip – non ha tardato a mostrare questo elemento distintivo, giovandosi come punto di forza della compiacenza di imprenditori locali che nella ’ndrangheta vedono una sorta di valore aggiunto per il raggiungimento del massimo profitto”.