Oscar britannici, vince “Boyhood”. Premio all’italiana Milena Canonero

di Gaetano Bencivenga

Londra – Parata di stelle nella suggestiva cornice della Royal Opera House di Londra per la consegna dei 68esimi Bafta (British Academy of Film and Television Arts), ovvero gli importantissimi Oscar inglesi. Molta curiosità c’era intorno all’esito della votazione, che in talune categorie si presentava alquanto incerto dato che la stagione è risultata prodiga di titoli interessanti e di peso.

La pellicola che partiva con il maggior numero di nomination (11), l’elegante e ironico  “Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson, ha alla fine portato a casa cinque maschere dorate per la colonna sonora, la scenografia, il trucco e le acconciature, la sceneggiatura originale e i costumi raffinati creati dalla fervida immaginazione della nostrana Milena Canonero, che punta direttamente al suo quarto Academy Award tra due settimane a Hollywwod.

Le altre opere presentatesi con un cospicuo bottino di candidature si sono fermate a tre premi. Tra di esse, però, la palma della migliore spetta all’epocale “Boyhood” di Richard Linklater, confermatosi, dopo il Golden Globe, vincente nelle categorie di maggior prestigio, ovvero film, regia e attrice non protagonista Patricia Arquette, davvero formidabile nei panni della paziente ma inquieta madre di una famiglia allargata americana,  letteralmente rinata grazie a un ruolo costruito attraverso ben dodici lunghi anni di riprese.

Tre trofei anche al sorprendente musical jazz “Whiplash” di Damien Chazelle, che, dopo il trionfo al Sundance, trova  estimatori  anche nella terra d’Albione, guadagnando i Bafta per il montaggio, il sonoro e l’attore non protagonista, quel J. K. Simmons  indimenticabile nella parte di un severo insegnante al Conservatorio di New York. Fa tris anche il britannico “La teoria del tutto” di James Marsh.

L’emozionante biopic dedicato al genio dell’astronomia, colpito da una tremenda malattia degenerativa, Stephen Hawking ha meritato gli allori per il miglior film inglese, la sceneggiatura non originale e l’attore protagonista Eddie Redmayne. Confermata, dopo il meritato Globe, anche il trionfo della divina Julianne Moore tra le attrici protagoniste, che con “Still Alice” di Richard Glazer e Wash Westmoreland sta finalmente ricevendo tutto quanto il suo innegabile talento  attendeva da tempo calandosi con generosità nei tormenti umani di una professoressa universitaria cinquantenne colpita da improvviso Alzhaimer. All’irriverente  e spassoso “Pride” è stato consegnato   un dovuto premio per il miglior debutto britannico, mentre miglior pellicola in lingua straniera è stata decretata la polacca “Ida” di Pawel Pawlikowski.

Delusi della serata sono stati, senza dubbio, lo straordinario “Birdman” di Alejandro Inarritu, partito dal record di dieci nomination e tornato negli Stati Uniti con il solo contentino alla fotografia, peraltro illuminante, e, soprattutto, “The Imitation Game” di Morten Tyldum, ingiustamente tenuto fuori da ogni riconoscimento e con la speranza di rifarsi a breve nella scintillante “Notte delle Stelle”.

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