Aversa – Aveva cercato di alienare alcuni beni e quote societarie ed occultarne altri non ancora individuati e sui quali sono tuttora in corso attività investigative nei confronti di Maurizio Capoluongo, 53 anni, già destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’omicidio di Ciro Nuvoletta e per associazione mafiosa, al quale la polizia ha sequestrato beni per un valore di circa 10 milioni di euro.
Si tratta della totalità delle quote e dell’intero patrimonio aziendale delle società “Ludomar Immobiliare srl”, con sede a Valenza (Alessandria), “ML Immobiliare srl” e “D’Angelo & C. srl”, entrambe con sede ad Aversa, l’ultima attiva nella commercio di oro e preziosi, oltre a 31 immobili, 4 terreni ubicati tra le province Napoli, Caserta ed Alessandria, autovetture, gioielli e preziosi, conti correnti bancari e assegni.
Le indagini sul patrimonio di Capoluongo traevano origine dalle dichiarazioni di Antonio Iovine, ex boss dei casalesi, oggi collaboratore di giustizia, il quale ha ricostruito la storia del clan sin dalla sua nascita, le dinamiche interne ed i rapporti di forza tra le diverse famiglie che ne costituivano l’ossatura, fornendo uno straordinario contributo anche per individuare beni immobili e società riconducibili ad affiliati all’organizzazione casalese.
A seguito dell’attività investigativa eseguita dal servizio centrale operativo e dalle squadre mobili di Napoli e Caserta, veniva accertata, la partecipazione di Capoluongo all’omicidio di Ciro Nuvoletta e ricostruita nella sua evoluzione la partecipazione al clan dei casalesi sin dal periodo in cui Antonio Bardellino ne rappresentava il capo indiscusso e carismatico.
Gli elementi indiziari acquisiti nel corso dell’attività di indagine consentivano di accertare che nel corso del tempo Capoluongo aveva accumulato un rilevante patrimonio solo in parte, formalmente, nella sua titolarità composto da beni immobili di diversa natura e dislocati in diverse regioni d’Italia e da altri beni mobili, tra cui preziosi di ingente valore.
Il provvedimento di sequestro adottato in via d’urgenza si rendeva necessario al fine di impedire la dispersione dei beni nonostante Capoluongo fosse ristretto al regime di cui al 41 bis dell’ordinamento penitenziario.
Le intercettazioni, infatti, rivelatesi, anche in tal caso, strumento particolarmente incisivo per la ricostruzione del patrimonio di Capoluongo, svelavano una strategia concordata con i suoi più stretti congiunti per “occultare” i beni.