Palermo – Controlli “soft”, o addirittura finti, sulla qualità della carne messa in vendita da imprenditori amici e rapporti con la mafia. Sono queste le accuse alla base dell’operazione di polizia che ha eseguito a Palermo e provincia un provvedimento di sequestro patrimoniale, ai sensi della normativa antimafia, nei confronti di Paolo Giambruno, direttore del Dipartimento di prevenzione veterinario dell’Asp di Palermo, nonché presidente dell’Ordine dei medici veterinari della Provincia.
Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale su proposta della Procura della Repubblica, a conclusione delle indagini preliminari, nell’ambito del procedimento penale che vede coinvolte 29 persone tra cui funzionari, dirigenti dell’Asp ed imprenditori del settore alimentare, la cui attività investigativa è stata svolta dalla Digos della Questura di Palermo.
Gli indagati, sono accusati di reati contro la pubblica amministrazione e la violazione della normativa a tutela della salute pubblica nella commercializzazione di alimenti. Secondo gli investigatori, è stato “evidenziato un sistema di rapporti, a livello imprenditoriale, intrattenute dal funzionario pubblico con Cataldo Salvatore, accusato di mafia a Carini (Palermo)”. Sempre secondo i magistrati, sarebbero “emerse numerose irregolarità nell’ambito dei controlli sanitari dal Dipartimento di prevenzione veterinario dell’Asp, sulla qualità delle carni da destinare al consumo”.
L’indagine è stata coordinata dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dai pm Gery Ferrara e Claudia Bevilacqua. Giambruno è indagato per concussione, abuso d’ufficio, falso e truffa aggravata, commessi nell’esercizio delle sue funzioni e per intestazione fittizia di beni di Salvatore Cataldo. Le indagini, avviate a fine 2010, nascono dalla denuncia di un medico veterinario del servizio sanitario pubblico che ha raccontato alla Digos di illegalità commesse nella gestione del Dipartimento di Prevenzione veterinario dell’Azienda Sanitaria Provinciale.
Un sospetto, quello del medico, confermato dalle intercettazioni disposte dalla Procura, che hanno fatto emergere responsabilità di 29 tra funzionari e dirigenti del dipartimento veterinario, allevatori e amministratori di aziende, per reati che vanno dall’abuso d’ufficio, alla concussione, al falso ideologico, alla truffa aggravata fino al commercio di sostanze alimentari nocive.
Tra gli episodi contestati emergerebbe, tra gli altri, quello relativo ai controlli sanitari disposti dal Dipartimento Veterinario sulla qualità delle carni da destinare al consumo. Giambruno, con la complicità di un altro veterinario, avrebbe chiuso un occhio sui controlli per agevolare un allevatore che avrebbe voluto commercializzare capi di bestiame infetti.
Nel corso dell’inchiesta è stato sequestrato l’intero allevamento dell’imprenditore: attraverso una consulenza tecnica disposta dalla Procura di Palermo è stata accertata la presenza di numerosi bovini malati destinati alla vendita. Giambruno, inoltre, avrebbe commesso irregolarità nel rilascio delle certificazioni per una azienda di prodotti dolciari di Carini e ad una di prodotti ittici di Lampedusa che avrebbero dovuto esportare i prodotti all’estero.
Il patrimonio sequestrato dal tribunale di Palermo al direttore del dipartimento Veterinario Giambruno ammonta a milioni di euro. Sotto sigilli sono finiti conti correnti, conti deposito titoli, l’intero capitale sociale e il complesso dei beni aziendali della società “Penta engineering immobiliare srl”, con sede legale a Palermo e capitale sociale di 100mila euro il cui amministratore unico è un familiare del funzionario, l’intero capitale sociale e il complesso dei beni aziendali della società “Unomar srl”, con sede legale a Carini (Palermo), con capitale sociale di 10.200 euro, il cui amministratore unico è, anche in questo caso, un familiare del funzionario, la società “Marina di Carini srl”, con sede legale a Palermo, con capitale sociale di 72.531 euro, anche questa controllata di fatto da parenti di Giambruno. Sequestrata, inoltre, un’enorme mole di documenti che proverebbero le partecipazioni e le cointeressenze societarie del nucleo familiare del direttore con quello del mafioso.