Firenze – L’unico imputato del processo di Firenze per la strage del Rapido 904, Totò Riina, è stato assolto. “Bene o male, me lo faranno sapere”, aveva annunciato poco prima dell’inizio della camera di consiglio dei giudici.
Il boss mafioso, in carcere a Parma, non sarebbe responsabile dell’esplosione avvenuta sul treno Napoli-Milano, il 23 dicembre 1984, in cui morirono 16 persone e 267 furono ferite. “Manca la prova piena che sia colpevole”, ha spiegato il difensore del boss, Luca Cianferoni. “Praticamente è la vecchia insufficienza di prove”, ha aggiunto.
Il pm Angela Pietroiusti aveva chiesto, martedì mattina, per Riina, l’ergastolo. “E’ il principale artefice di questo fatto – ha detto – non c’è il minimo dubbio. Chiedo la pena massima dell’ergastolo. Si chiede la condanna non perché non poteva non sapere perché era a capo dell’organizzazione, ma perché Riina esercitava questo potere. Solo con la sua autorizzazione è stato fornito l’esplosivo a Calò e solo lui poteva decidere la destinazione dell’esplosivo. Riina è il determinatore, lui dà questo contributo decisivo”.
“Uno degli obiettivi – ha proseguito – era fare pressione sui propri referenti politici, i Salvo e Salvo Lima, per incidere sull’esito del maxi-processo. Quello era ciò che più spaventava l’organizzazione, come dimostreranno le stragi del 1993: una volta che diventano definitive le condanne, continua l’attacco per costringere le istituzioni a venire a patti, lo Stato viene sottoposto a gravi ricatti. E’ un attacco frontale allo Stato. La strage del Rapido 904 avviene nel 1984 quando c’è stato il pentimento di Tommaso Buscetta e ci sono stati i mandati di cattura di Falcone e Borsellino, che stanno istruendo il maxiprocesso”.
Nel pomeriggio il presidente della corte d’assise di Firenze, Ettore Nicotra, ha letto la sentenza di assoluzione. Per la strage di Natale erano già stati condannati Pippo Calò, altri due mafiosi, Guido Cercola e Franco Di Agostino, e l’artificiere tedesco Friedrich Schaudinn. Successivamente, le indagini avevano stabilito anche il coinvolgimento del boss mafioso.
Amareggiata Rosaria Manzo, presidente Associazione Familiari Vittime Treno Rapido 904, che in una nota scrive: “La sentenza della Corte di Assise di Firenze che ha assolto Totò Riina in quanto mandante, istigatore e determinatore della strage è stata per noi una doccia fredda, una decisione inaspettata che ci ha colti del tutto di sorpresa. Pur nel rispetto della giustizia, che resta per noi baluardo ultimo al quale aggrapparci per scoprire la verità sulla nostra vicenda, non riusciamo a comprendere come si sia potuti giungere ad una sentenza di assoluzione dopo la serie di elementi acquisiti per condannare il colpevole, il celere iter processuale e la dinamica dei fatti, che a parere di noi ‘profani’ della dinamica giuridica non potevano che portare ad una sentenza di condanna”.
“Sia chiaro – continua Manzo – che noi non siamo alla ricerca di un parafulmine, di un capro espiratorio che si faccia carico di colpe non sue solo per dare una conclusione alla strage. Siamo nostro malgrado confinati dalla storia in questo stranissimo limbo giudiziario in cui si rischia di confondere la ricerca del colpevole con il colpevole a tutti i costi. Noi siamo chiaramente alla ricerca della verità e la nostra speranza è che il macchinoso sistema giudiziario italiano, che in oltre trent’anni non ha prodotto che colpevoli di secondo piano, continui nella ricerca dei mandanti, che riesca a smascherare un sistema stragista che a questo punto non è stato ancora individuato dalla magistratura”.
“Partendo dalla requisitoria del pm – sostiene la presidente dei familiari – si costruisce un sistema articolato di interconnessioni tra mafia e politica, tra mafiosi/pentiti e Riina dove la strage diventa veicolo di pressione sullo Stato. Questo sistema dunque non esiste più!? Si tratta solo di un gesto isolato di un folle casualmente collegato alla cosca mafiosa più potente della storia italiana che decide arbitrariamente di far saltare in aria un treno?!”.
“Esiste l’appello – conclude Manzo – e speriamo che se ne faccia ricorso e che in quella circostanza si possa giungere a conclusioni differenti. La pazienza è la virtù dei forti ma a questa aggiungeremo anche la perseveranza, perché la nostra battaglia continuerà fino a che non verrà scritta la parola fine sull’intera vicenda”.