37 anni dalla morte di Moro e Impastato. Mattarella depone corona

di Gabriella Ronza

Aldo Moro e Peppino Impastato sono stati due uomini profondamente diversi uniti da un destino comune: la morte sopraggiunta trentasette anni fa (9 maggio 1978) per mano di due forze parallele allo stato, terrorismo e mafia.

Moro, giurista e politico della Democrazia Cristiana, fu ucciso dalle Brigate Rosse con dieci cartucce dopo 55 giorni di sequestro. Il suo cadavere venne ritrovato in via Caetani a Roma nel portabagagli di una Renault 4 rossa. L’auto, risultata rubata, venne parcheggiata a piazza del Gesù, dov’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana e a via delle Botteghe Oscure, dove si trovava la sede nazionale del Partito Comunista Italiano.

Il presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, protagonista di una carriera politica invidiabile, fu rapito il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, il quarto guidato da Giulio Andreotti. Nell’assalto alla sua Fiat 130 morirono ben cinque uomini della sua scorta.

Nello stesso periodo, a chilometri di distanza, in Sicilia, un giovane giornalista e attivista italiano, Giuseppe (Peppino) Impastato, lottava eroicamente contro Cosa nostra. Cresciuto in un paesino e in una famiglia dalla mentalità mafiosa (ben cento passi dividevano la sua abitazione da quella del boss Gaetano Badalamenti), Peppino si ribellò al padre ed avviò un’attività politico – culturale antimafiosa. Candidato nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, fu  assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio.

Col suo cadavere venne inscenato un attentato, atto a distruggerne anche l’immagine, in cui la stessa vittima apparisse come suicida, ponendo una carica di tritolo sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votarono il suo nome e lo elessero simbolicamente al Consiglio comunale. L’uccisione passò inosservata perché proprio il mattino del 9 maggio fu ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro.

Due meridionali vittime della violenza e della corruzione, Aldo Moro e Peppino Impastato sono diventati simboli inconsapevoli, in questo 9 maggio bagnato dal loro sangue, di una lotta personale e, allo stesso tempo, collettiva alle due organizzazioni anti statali per eccellenza, terrorismo e mafia.

Nonostante il governo italiano si sia mostrato in passato spesso indifferente agli avvenimenti che ruotano intorno alle loro morti, (tanto che la famiglia Moro lo accusò di aver fatto poco o nulla per salvargli la vita e gli Impastato per anni dovettero subire le illazioni dei mass media che descrivevano Peppino come un terrorista suicida) la loro memoria è vivida.

Lo scrittore Piergiorgio Bellocchio afferma: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno giustiziati”, una citazione adattissima alle storie di questi due uomini, anche se sarebbe onesto per noi e per questo paese sostituire quel pessimista “giustiziati” con un più sentito e meritevole “ricordati”.

Intanto, oggi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deposto in via Caetani una corona alla lapide che ricorda il luogo del ritrovamento del corpo di Moro.

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