Emigrazione: giovani italiani schiavizzati nelle “farm” australiane

di Stefania Arpaia

Sidney – Lavorativamente sfruttati in quella terra che avrebbe dovuto garantirgli un futuro migliore. Sono gli italiani emigrati in Australia che alla ricerca di fortuna, hanno trovato capi “sfruttatori” che li hanno ridotti a schiavi nei campi.

A denunciare la situazione, molto simile a quella degli stranieri schiavizzati in Italia, è stato il programma televisivo australiano “Four Corners”, la cui inchiesta è stata ripresa dal Corriere della Sera.

Costretti a lavorare con orari estenuanti, sottopagati e bersaglio di molestie e persino di abusi sessuali. E’ questa la descrizione del lavoro di italiani che hanno lasciato tutto alla ricerca di un lavoro migliore e di una vita più agiata.

Purtroppo, per i malcapitati sembrerebbe che tutto sia stato trovato fuorché la “fortuna” desiderata. A renderli vulnerabili a ricatti e truffe sarebbe il fatto che gli immigrati temporanei, per ottenere il rinnovo del visto per il secondo anno, devono dimostrare di aver lavorato per almeno tre mesi nelle zone rurali del Paese.

Il visto per vacanza-lavoro infatti viene concesso per massimo 12 mesi a giovani tra i 18 e i 30 anni. In questo arco temporale, è possibile lavorare e studiare, ma a condizione che non si resti presso lo stesso datore per più di 6 mesi. E la condizione fondamentale è una: accettare di essere impiegati per 3 mesi in una “farm”.

“In un solo anno ho raccolto 250 segnalazioni sulle condizioni che si trovano ad affrontare gli italiani in Australia- ha detto Mariangela Stagnitti, presidente del Comitato italiani all’estero di Brisbane – Alcune erano terribili. Come quelle di due ragazze in un’azienda che produceva cipolle rosse: turni dalle sette di sera alle sei del mattino, senza pause neanche per andare in bagno. Il tutto, spesso, senza tutele assicurative”.

“Tanti mi dicono che ormai sono abituati e non denunciano l’accaduto – ha spiegato – Anche in Italia, quando riuscivano a lavorare, lo facevano spesso in nero e sottopagati. Così finiscono per fare quei lavori che gli australiani non vogliono più fare”.

Attualmente sono oltre 15mila i giovani connazionali presenti in Australia. “Alla partenza, molti di loro neppure immaginano di rischiare condizioni di aperto sfruttamento, con orari di lavoro estenuanti, paghe misere, ricatti, vere e proprie truffe”, ha aggiunto. Per lo più finiscono nelle “farm”, le aziende agricole dell’entroterra, a raccogliere per tre lunghi mesi patate, manghi, pomodori, uva.

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Redazione
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