Sant’Arpino – “Domitiana Finis Terrae”: è il titolo della mostra fotografica di Giovanni Izzo che sarà inaugurata venerdì 19 giugno 2015, alle ore 18, nella Pinacoteca di Arte Contemporanea “Stanzione”, al secondo piano del Palazzo Ducale “Sanchez de Luna” di Sant’Arpino.
L’iniziativa, promossa dalla Pro Loco di Sant’Arpino nell’ambito della 23esima edizione della Sagra del Casatiello, si avvale del patrocinio del Comune di Sant’Arpino e vedrà la partecipazione – in occasione del taglio del nastro – di personalità del mondo politico – istituzionale, di critici d’arte, di studiosi, giornalisti e appassionati della straordinaria arte fotografica.
Nei suggestivi saloni della Pinacoteca “Stanzione” saranno collocate, secondo un percorso che ne sviluppi con efficacia il senso e la prospettiva, alcune decine di pannelli di immagini che ritraggono in maniera inequivocabile il dramma dei luoghi derelitti.
Giovanni Izzo, sensibile figlio della provincia di Terra di Lavoro, traccia con la sua arte fotografica l’atto del pensare, lo fissa in immagine e lo offre ad altri pensieri. Lo fa dall’alto di una esperienza maturata in anni lontani. Agli inizi l’amore per l’arte figurativa in Accademia di Belle Arti. Decisivo poi l’incontro con Mimmo Jodice, grazie al quale la passione per la fotografia diventa viscerale e totale. Nel tempo, oltre trent’anni, tanti sono stati i lavori, le mostre, le pubblicazioni e i riconoscimenti.
Questa volta il campo della sua indagine è uno scatto che interrompe l’oblio che avvolge la “Domitiana”, una linea retta di asfalto come pece, lunga cinquanta chilometri. Un percorso di memoria, storia, arte, cultura ma anche devastazione, violenza, malaffare, povertà, disperazione e perché no? Anche speranza. E’ una sequenza filmica. “Una dolce follia del movimento – sottolinea con il solito acume Raffaele Cutillo – che ingurgita il mondo e il tempo nel rettangolo della macchina, racchiude schegge di marmo pentelico e cemento graffiato dalla ruggine. E sorride per aver afferrato nelle immagini anche il vento dell’acropoli”.
“Gli scatti inquadrano scorci di criminalità africana, camorra nostrana, malaffare e malcostume, povertà endemica e immigrata. Ritraggono senza veli, ma con poetica pietà, il paesaggio della miseria, della sofferenza e della fatiscenza, prodotto e nutrimento di ricchezze delittuose. Documentano ed emozionano. Sono cronaca, racconto e opera d’arte. Interpretano quel mondo che, pur nostro, misconosciamo”. Sottolinea Francesco Ventura che poi aggiunge: “Le foto che è capace di comporre Giovanni hanno uno speciale potere. Invitano ad agire i luoghi ritratti. Li aprono ad altre letture, a ulteriori esperienze. Ne invocano la conoscenza diretta. La sua opera non è chiusa in sé stessa. È generosa verso gli abitanti, che guarda come fratelli, e verso i suoi lettori visti come possibili compagni di strada”.
In questa triste sequenza di ciò che è a fronte di ciò che sarebbe potuto succedere si fa largo anche un segno di auspicio.
“Non può esserci ulteriore degrado – fa riflettere ancora una volta Cutillo – se non una rinascita magari diversa dalla precedente, ma pur sempre tale. E la fotografia si fa perfetta traduzione di krisis, incitazione a una scelta diversa e definitiva. La mappa segreta del riscatto è, oltre il tecnicismo, negli occhi di quegli uomini, donne e bambini che, sorridenti e indifferenti alla disgregazione al contorno, illuminano ogni fermo immagine. E la speranza”.