Il prezzo della sicurezza: liberi o sorvegliati?

di Gabriella Ronza

Gli eventi terroristici di questo inverno hanno portato le nazioni occidentali ad una maggiore presa di coscienza riguardo al benessere e alla sicurezza pubblica. I poteri centrali hanno allargato a dismisura l’area di intervento delle polizie segrete e le possibilità di sorveglianza.

In Canada, ad esempio, è stata approvata una contestatissima legge al parlamento federale di Ottawa: la “Bill C-51” che conferisce grandissimi poteri ai servizi segreti, stabilisce una serie di deroghe ai princìpi costituzionali che tutelano la privacy dei cittadini e prevede anche eccezioni alle normali procedure giudiziarie e poliziesche nel trattamento dei sospettati. Il Paese nordamericano ha ritenuto necessario un provvedimento del genere in correlazione ad un attentato dello scorso ottobre al parlamento federale canadese dal bilancio di due morti (una delle vittime fu lo stesso terrorista). L’accaduto ebbe risonanza internazionale. Il Canada ha, quindi, seguito la linea della “sorveglianza totale”.

Il quotidiano canadese “Globe & Mail” ha, a tal proposito, lanciato un allarme: c’è il rischio che anche la condivisone di informazioni e commenti sui social, in riferimento ad atti terroristici, possa far entrare quell’utente nella cerchia dei “sospettati”.

Edward Snowden, ex dipendente della Cia, aveva previsto tutto questo quando svelò il progetto di sorveglianza globale nel 2013. La spia aveva, infatti, consegnato tra i 15 e i 20 mila documenti top secret ai giornalisti del The Guardian Glenn Greenwald e Laura Poitras.

Secondo il giornalista Lorenzo Guadagnucci, del mensile “Altreconomia”, il consueto scambio “meno diritti e libertà, più sicurezza”, tipico dei “governi della paura” post 11 settembre, è in fase evolutiva: si alza la posta delle rinunce chieste ai cittadini, si estende a dismisura l’area di intervento delle polizie segrete, si sfruttano senza limiti le possibilità tecnologiche di sorveglianza. È come se ai cittadini si chiedesse di accettare l’idea di vivere in società teleguidate da poteri di polizia senza confini, specie nella sfera della comunicazione.

Il Canada non è, però, un caso isolato. La Francia ferita di Charlie Hebdo ha anch’essa consentito l’avvio di piani di sorveglianza, come quelli sulle cosiddette “scatole nere” (l’insieme dei metadati di navigazione: es. durata delle connessioni o registrazione degli indirizzi dei siti visitati).

L’esito è ovviamente scontato: alla maggiore libertà tipica del nostro secolo che si fonda sulla globalizzazione, la circolazione rapida di informazioni e la facile mobilitazione, ne consegue un’intromissione aggressiva nella vita del singolo. Ogni più piccolo aspetto dell’esistenza dell’individuo e della comunità viene sorvegliato e analizzato. Il controllo totale: questo sembrerebbe il paradossale prezzo che la generazione della “libertà” deve pagare per la “sicurezza”.

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