Roma – Secondo i dati dell’annuario Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) l’Italia nel 2014 ha speso ben 29,2 miliardi di euro (il 7,6% in più rispetto all’anno precedente) in spese militari, 80 milioni di euro al giorno.
Nella classifica della Sipri, l’Italia è al dodicesimo posto, prima di lei: la Cina, con una spesa stimata in 216 miliardi di dollari, la Russia con 85 miliardi, l’Arabia Saudita, la Francia, la Gran Bretagna, l’India, la Germania, il Giappone, la Corea del sud e il Brasile. In testa vi sono gli Stati Uniti con una spesa di 610 miliardi di dollari (575 miliardi di euro). È un business redditizio: il Bel Paese cresce esportando armi e munizioni (militari e comuni).
I dati elaborati dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere e sulle politiche di sicurezza e di difesa (Opal) evidenziano, secondo l’analista Giorgio Beretta, come “una parte sempre più consistente delle armi italiane va a finire nelle zone di maggior tensione del Pianeta”. In un’intervista a Rai News dello scorso 28 agosto, Beretta aveva inoltre affermato: “Da più di sei anni, cioè dai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, tutta la materia delle esportazione di sistemi militari non viene esaminata nelle competenti commissioni della Camera e del Senato. E questo nonostante la Presidenza del Consiglio abbia inviato ogni anno al parlamento una corposa Relazione come per legge. […] Oggi è praticamente impossibile sapere dalla Relazione ciò che tutti dovremmo, per legge, sapere: e cioè a quali paesi il Governo abbia autorizzato l’esportazione di quali specifici sistemi militari, per quale quantità e valore, e a quali paesi siano state consegnate quante e quali armi nel corso dell’anno”.
Dai dati statistici si osserva che l’Italia export di armi ha ricavato: 157 milioni di euro dal Medio Oriente, 46 milioni dal Nord Africa e 180 milioni dall’Asia. La provincia italiana che ha esportato maggiormente (346 milioni di euro, con un incremento del 9,5% rispetto al 2013) è stata quella di Brescia.