Roma – Il blocco dei contratti e degli stipendi per i dipendenti della Pubblica amministrazione è illegittimo, ma non per il passato. Lo ha deciso la Corte Costituzionale. Il blocco era stato inserito dal 2009 tra le misure per il risanamento dei conti. Se la sentenza avesse avuto una valenza retroattiva, sarebbe costata almeno 35 miliardi alle casse dello Stato. I sindacati esultano: “Ora il governo non ha più scuse. Apra subito il negoziato e rinnovi i contratti”.
Il ricorso contro il blocco dei contratti, che riguarda oltre 3 milioni di lavoratori, era stato presentato dal sindacato Confsal-Unsa. I giudici della Consulta hanno accolto la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui l’articolo 81 della Costituzione che prevede l’obiettivo del pareggio di bilancio e “assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.
Se il ricorso fosse stato accolto in toto avrebbe comportato un esborso per lo Stato di 35 miliardi per gli anni tra il 2010 e il 2015, con un effetto strutturale di 13 miliardi annui a partire dal 2016. La Consulta ha disinnescato una bomba ad orologeria per i conti pubblici, proprio a pochi giorni dalla sentenza sull’illegittimità dello stop alla perequazione delle pensioni.
Con il riconoscimento dell’illegittimità del blocco della contrattazione nel pubblico impiego “oggi c’è la riscossa dei lavoratori pubblici: c’è soddisfazione e commozione per la decisione della Consulta, che dà il giusto riconoscimento alla Carta Costituzionale”. Così Massimo Battaglia, segretario generale della Confsal-Unsa. “Anche se non verranno riconosciuti gli arretrati – continua Battaglia – oggi c’è il riconoscimento di un grande sindacato, che, quando gli altri stavano zitti, operava per arrivare a questo risultato”.