Benyamin Netanyahu ha approvato la costruzione “immediata” di 300 alloggi nella colonia cisgiordana di Beit El, dove sono stati demoliti, su ordine della Corte suprema di Gerusalemme, due condomini abusivi. Tre coloni che cercavano di ostacolare i lavori sono stati posti in stato di fermo. E sul fronte internazionale arriva anche l’accusa da parte di Amnesty la quale ritiene che le forze armate israeliane si siano macchiate di crimini di guerra.
In un comunicato dell’ufficio del premier israeliano viene ricordato che già tre anni fatti il governo aveva promesso la costruzione di 300 alloggi a Beit El, dopo aver demolito sei grandi edifici in una collina vicina. Netanyahu ha inoltre autorizzato la vendita di una novantina di alloggi a Pisgat Zeev (a nord di Gerusalemme) e la progettazione di altri 400 alloggi circa in diversi rioni ebraici attorno a Gerusalemme.
Intanto, esplode la polemica dopo il rapporto presentato da Amnesty International in cui si ritiene che le forze armate israeliane si siano macchiate di crimini di guerra nel corso di attacchi aerei e terrestri lanciati in zone abitate di Rafah (Gaza). Amnesty non esclude che possano essere bollati anche come “crimini contro l’umanità”.
Immediata la replica di Israele. Amnesty “falsifica” la realtà nel suo rapporto sui combattimenti di un anno fa a Gaza. Lo afferma il ministero degli Esteri israeliano, secondo cui il rapporto è lacunoso “nella metodologia, nella ricostruzione dei fatti, nelle analisi e nelle conclusioni”. Amnesty, sostiene il ministero, “ancora una volta dimostra la propria ossessione verso Israele”.
Nel rapporto presentato a Gerusalemme, Amnesty ricostruisce dettagliatamente gliattacchi “infernali” susseguitisi fra l’1 e il 4 agosto. I ricercatori di Amnesty – che non sono potuti entrare nella Striscia perché impediti da Israele – si sono avvalsi di tecniche investigative e di analisi sofisticate, messe a punto un team di ricercatori (Forensic Architecture) nell’Università di Londra. Si sono basati fra l’altro sull’analisi approfondita di fotografie (come l’angolazione delle ombre e le dimensioni dei pennacchi di fumo), su filmati video e su testimonianze oculari.
Le conclusioni di Amnesty sono che a Rafah – dopo che un ufficiale israeliano era caduto in agguato di Hamas – avvenne una “carneficina”, con un totale di 135 palestinesi uccisifra cui 75 minorenni. Israele agì a suo giudizio “con una terribile indifferenza verso le vite umane civili, e lanciò attacchi sproporzionati ed indiscriminati”. Proseguirono anche dopo il 2 agosto, quando l’esercito aveva già dichiarato morto l’ufficiale.
Da qui nasce il sospetto, secondo Amnesty, che gli attacchi successivi fossero motivati dal desiderio di “punire” Rafah. Sul terreno, aggiunge la Ong, si scatenò “un inferno di fuoco”, mentre aerei F-16, droni, elicotteri e l’artiglieria colpivano massicciamente zone residenziali della città. Israele ormai “si era tolto i guanti” – accusa Amnesty – ed ignorò deliberatamente il codice di guerra.
Un anno dopo, prosegue l’Ong, “le autorità israeliane si sono astenute dal condurre indagini credibili, indipendenti ed imparziali su queste violazioni del diritto internazionale ed umanitario”. Le indagini interne condotte dall’esercito hanno avuto “carattere limitato”, e non hanno indicato colpevoli. “Le vittime e le loro famiglie hanno il diritto a giustizia e indennizzi. Quanti sono sono sospettati di aver ordinato o commesso crimini di guerra – conclude Amnesty – devono essere perseguiti”.