Roma – Un vero e proprio “tsunami” dal porto di Fiumicino giunge fino alla Regione Lazio, al Comune di Fiumicino ed a due società a partecipazione pubblica.
E’ questo l’effetto dell’operazione “Maremosso”, coordinata dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia (sostituto procuratore Lorenzo Del Giudice), al termine della quale sono stati notificati 15 avvisi di conclusioni delle indagini.
Le complesse e articolate investigazioni, eseguite dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, che avevano già portato, nel novembre del 2012, al sequestro dell’intera area di cantiere, pari a circa un milione di metri quadrati, del realizzando Porto Turistico di Fiumicino, detto anche “Porto della Concordia” – destinato a divenire, a livello europeo, uno dei più importanti approdi turistici del Mediterraneo, con una capacità ricettiva di circa 1.500 posti barca – ed all’arresto, nel marzo del 2013, del “dominus” del gruppo Acqua Marcia, F.B.C., cui apparteneva la società general contractor e di un altro soggetto di sua fiducia, E.G., legale rappresentante di diritto di alcune società del citato gruppo societario, hanno consentito, infatti, di disvelare numerose, ulteriori condotte illecite, poste in essere anche da funzionari pubblici.
Le preliminari indagini, infatti, avevano consentito di accertare i reati di frode nelle pubbliche forniture, appropriazione indebita, riciclaggio e trasferimento fraudolento di denaro a terzi, perpetrati attraverso un articolato meccanismo di subappalti dei lavori – eseguiti, tra l’altro, solo in parte, ed in modo differente da quanto previsto dal Progetto Definitivo, con caratteristiche tali da pregiudicarne la stabilità nel tempo – posto in essere tra la società general contractor ed altre imprese, riconducibili, direttamente o indirettamente, al predetto imprenditore romano e l’attribuzione fittizia a soggetti terzi di somme di denaro, per complessivi 35 milioni di euro, frutto di appropriazione indebita a danno di due società del Gruppo.
Tali somme erano risultate essere state riciclate, attraverso false fatturazioni, su conti correnti lussemburghesi intestati a due società cipriote, sempre riconducibili a F.B.C.. Il redetto meccanismo di subappalti, inoltre, aveva consentito di subappaltare i lavori a soli 100 milioni di euro, a fronte di un costo ipotizzato per la realizzazione dell’opera da parte della società affidataria di circa 400 milioni di euro.
Nel prosieguo delle indagini, l’attenzione degli investigatori si è concentrata sull’intero iter amministrativo finalizzato al rilascio della concessione demaniale marittima per la realizzazione della citata opera portuale. In particolare, attraverso l’esecuzione di numerose perquisizioni locali, l’acquisizione di documenti presso gli Enti Pubblici interessati alla vicenda e l’escussione di decine di persone informate sui fatti, è stato appurato come fra gli uffici comunali ed i soggetti economici privati interessati all’ottenimento della concessione demaniale marittima per la realizzazione e la gestione del Porto Turistico di Fiumicino vi fosse stata una continua interlocuzione, avvenuta anche attraverso l’impropria condivisione dei files afferenti atti di natura amministrativa di esclusiva competenza comunale (decreti del sindaco, note del Comune, bozze di delibere di giunta) ed anche regionale (bozze di atto di concessione demaniale), prima che gli stessi fossero formalizzati.
Proprio con riferimento alla predisposizione di tali atti sono indagati, per abuso d’ufficio, l’ex sindaco di Fiumicino, ed un ex funzionario regionale, il primo reo di aver predisposto – pur non essendo di sua competenza – il testo della bozza di Accordo di Programma sulla base del quale il secondo aveva rilasciato, in nome e per conto della Regione Lazio, la concessione demaniale marittima, in cui, peraltro, la durata della stessa veniva indebitamente portata da 50 a 90 anni – contrariamente a quanto previsto dal piano economico-finanziario allegato al Progetto definitivo relativo al Nuovo Porto Turistico di Fiumicino – con ciò procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale alla concessionaria ed un rilevante danno allo stesso Ente, che, alla scadenza del predetto termine, avrebbe dovuto riacquisire la disponibilità delle aree in concessione.
Al funzionario regionale, unitamente al suo predecessore nella carica di Direttore del Dipartimento Istituzionale e Territorio della Regione Lazio, è contestato il reato di abuso d’ufficio anche per aver omesso di istituire la Commissione di Vigilanza e Collaudo – organo tecnico che avrebbe dovuto vigilare sulla corretta esecuzione dei lavori – per la mancata escussione delle polizze fideiussorie rilasciate dalla concessionaria a garanzia della regolare esecuzione dei lavori nonché per la mancata attivazione delle procedure volte alla revoca della stessa concessione.
Per la medesima fattispecie delittuosa, inoltre, sono indagati l’amministratore unico ed il presidente del C.d.A. pro-tempore del socio pubblico della concessionaria, unitamente al legale rappresentante della relativa controllante, società a totale partecipazione
pubblica.
Agli stessi, nello specifico, viene addebitato di aver omesso di svolgere i compiti di stimolo e di controllo – derivanti dalle funzioni pubbliche assegnate dalla legge – sull’operato della partecipata assegnataria della concessione demaniale marittima, oltre che di aver consentito – omettendo di esercitare o di far esercitare i patti parasociali vigenti tra “i soci storici” di I.P. – la scalata al capitale sociale di quest’ultima da parte delle società riconducibili a F.C.B., che, nel giro di pochi anni, erano, quindi, giunte ad acquisire la maggioranza delle quote del capitale sociale della concessionaria.
Proprio in un patto parasociale tra il socio pubblico di I.P. ed una delle società del Gruppo Acqua Marcia era previsto, tra l’altro, che vi fosse un diritto di prelazione fra i sottoscrittori del patto, in caso di trasferimento delle proprie partecipazioni nella concessionaria, garantito da una fideiussione dell’importo di oltre 50 milioni di euro rilasciata in favore della società pubblica, che, pertanto, pur in presenza dei presupposti legittimanti, non aveva escusso la stessa, procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale al Gruppo Acqua Marcia.
Sono stati segnalati, infine, alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti, comportamenti potenzialmente rilevanti sotto il profilo del danno erariale, stimato in oltre 550 milioni di euro.