Napoli – C’è la morte nell’anima di Luigi Alfredo Ricciardi. Imprigionato nel guscio della solitudine più completa, che non permette a nessuno di intaccare, è sulla soglia della disperazione.
All’ottavo appuntamento con i lettori del commissario dagli occhi verdi, più che mai protagonista in una indagine dove tutto è anomalo, Maurizio de Giovanni ci regala la meraviglia di un romanzo in cui le anime di ciascuno si rivelano fatte di vetro: facili a rompersi in mille pezzi, lasciano trasparire la fiamma che affascina e talvolta danna, e occorre allora il sacrificio della rinuncia, che può apparire incomprensibile ed esporre alla vendetta.
Prende così forma un congegno narrativo misteriosamente delicato e struggente, vertiginoso e semplice, che spinge Ricciardi su strade rischiose. E lo costringe a fare i conti con sé stesso e i propri sentimenti. Mentre le pagine sembrano assumere la voce di una delle più celebri canzoni partenopee, per carpirne il più nascosto segreto.
Il libro di De Giovanni è come una canzone partenopea calda e avvolgente, ma allo stesso tempo struggente e misteriosa, così come l’anziano Maestro del prologo e degli interludi presenti nel romanzo. Le caratteristiche di Anime di vetro sono concentrate nel messaggio che viene dato al lettore da questi incontri tra due generazioni differenti di musicisti: un romanzo vibrante, ambientato in quel sottobosco brulicante che è Napoli e i suoi dintorni, nel quale il commissario Ricciardi si muove intontito e confuso, poiché la sua anima presenta ancora le cicatrici del passato.
L’indagine riguarda l’omicidio dell’avvocato Ludovico Piro, per il quale il conte di Roccaspina si costituisce subito. Ma qualcosa non quadra: secondo la moglie, la contessa Bianca, il marito quella notte non poteva essere sulla scena del delitto. Comunque, a causa della confessione, le indagini non sono nemmeno iniziate.
Ricciardi decide di volerci veder chiaro, dopo alcuni casi poco importanti e stimolanti, per poter finalmente distogliere la mente dai suoi problemi: la morte della tata Rosa e il rapporto con Enrica sono solo esempi dei fantasmi che Ricciardi affronta, mentre cerca di risolvere un caso apparentemente già chiuso da quattro mesi, ma che poco a poco lo coinvolge sempre di più. De Giovanni rende il tormento della fragile anima del commissario attraverso una narrazione frammentata e struggente, nella quale riflessioni personali e ricordi si intrecciano con i dialoghi tra il commissario e gli altri personaggi del romanzo.
Tra questi spicca il brigadiere Raffaele Maione, preoccupato per lo stato del suo collega e amico Ricciardi, che si ritrova a proteggerlo su due fronti: da se stesso e da un pericolo che, passo dopo passo e inaspettatamente, fa la sua comparsa all’interno della vicenda. In questo libro viene presentato un Ricciardi ancora più introspettivo rispetto ai romanzi precedenti, ancora più vulnerabile e fragile, ma determinato come sempre a portare a termine le indagini, costi quel che costi.