Negli ultimi tre anni quasi 200mila cittadini campani hanno abbandonato il trasporto pubblico per spostarsi con mezzi propri. Ognuno di loro, fino al 2012, saliva regolarmente a bordo di treni e bus, a Napoli o nelle altre province. Poi, gradualmente e inesorabilmente, uno dopo l’altro hanno gettato la spugna.
Colpa di disagi, ritardi, pericoli. Una miscela esplosiva che ha messo in ginocchio un comparto strategico, essenziale per una regione che aspira a fare sviluppo con il turismo. L’età media dei convogli in circolazione è di 17,3 anni ma il 78,3 per cento hanno più di 20 anni di età e una parte di questi arriva a sfiorare addirittura i 30 anni.
Dal 2010 sono state cancellate due linee su dieci (il 19 per cento), con picchi del 50 per cento sulle linee meno frequentate, considerate dagli amministratori locali meno produttive.
Una politica che ha di fatto aumentato le distanze tra Napoli e il resto della regione nonché tra le città principali e i piccoli centri costringendo, appunto, chi doveva spostarsi ad arrangiarsi, a riorganizzare la propria vita o a ricorrere, ancora una volta, all’auto privata.