Caso Marò, documenti indiani confermano innocenza fucilieri

di Stefania Arpaia

New Delhi – Un’informazione importante è emersa dalla documentazione indiana relativa al caso dei Marò che potrebbe scagionare i due fucilieri italiani.

Secondo quanto riferito dal Quotidiano Nazionale, tra i documenti c’è la relazione dell’autopsia dalla quale emerge che i proiettili che hanno ucciso i pescatori indiani sono diversi da quelli in dotazione ai Marò. Il referto autoptico infatti afferma dell’estrazione di un’ogiva dal corpo di una delle vittime, lunga 31 millimetri, con una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella parte più larga. Proiettili completamente diversi da quelli dati in dotazione a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che utilizzavano fucili mitragliatori Beretta AR 70/90 e Minimi.

Il documento è giunto dall’India presso il tribunale del Mare di Amburgo, e mostrerebbe una delle tante incongruenze del caso. Il Quotidiano Nazionale infatti, sottolinea la presenza di testimonianze “fotocopia” presentate dai marinai presenti a bordo della nave al momento dell’uccisione dei pescatori.

“Le testimonianze – spiega il giornale – sono l’allegato numero 46 delle carte che l’India ha depositato ad Amburgo al Tribunale internazionale per il diritto del mare, e sono state raccolte il 30 luglio 2015. Il comandante del peschereccio Freddy Bosco, 34 anni, residente nello stato meridionale del Tamil Nadu, e il marinaio Kinserian, 47 anni, dichiarano “onestamente e con la massima integrità che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante “finì sotto il fuoco non provocato improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi’.

Entrambi, sbagliano nello stesso modo il nome della petroliera, la Enrica Lexie. Entrambi aggiungono che i “tiri malvagi” hanno provocato la “tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke”. Uguali le dichiarazioni anche di Michael Adimai, il terzo pescatore del Saint Antony, il peschereccio indiano.

In più, “dalle carte depositate emerge anche l’ennesimo particolare incongruo. Il Gps del Saint Antony non fu consegnato da Bosco alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. Insomma, volendo, ci fu tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall’apparecchio”.

Una nuova speranza per gli italiani che potrebbero finalmente essere, dopo anni, scagionati.

 

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