Napoli – “Sì, sono stato io a sparare”. Raffaele Rende, il 27enne napoletano arrestato sabato sera dopo una fuga durata 48 ore ha fatto le prime ammissioni agli inquirenti in ordine al tentato omicidio del poliziotto casertano Nicola Barbato, dando la sua ricostruzione su quanto avvenuto giovedì sera, intorno alle 20, davanti alla Stazione Cumana del quartiere Fuorigrotta, in via Leopardi.
Il giovane ha detto di non sapere che Barbato e un suo collega, entrambi a bordo di un’auto civetta, fossero poliziotti, di aver perso il controllo e iniziato a sparare dopo aver visto una pistola in mano a uno dei due. A suo dire, li avrebbe scambiati per dipendenti del negozio di giocattoli che lui e il suo complice dovevano estorcere, anche perché indossavano delle magliette utilizzate dagli stessi dipendenti. A quel punto Rende è salito in auto, sedendosi sulla poltrona posteriore: il collega di Barbato avrebbe estratto l’arma di servizio e, a quel punto, Rende avrebbe sparato. Il poliziotto che aveva estratto la pistola è riuscito a schivare i colpi che invece hanno centrato Barbato, sceso dall’auto per tentare di bloccare Rende. Il sovrintendente di 53 anni è stato raggiunto da due proiettili: alla spalla e alla nuca. Poi Rende è uscito dalla vettura e si è dato alla fuga con uno scooter guidato da un complice.
La fuga si è conclusa sabato sera, intorno alle 21.30, quando il 27enne è stato individuato e arrestato in un appartamento nel quartiere di San Giovanni a Teduccio. “Sono quello che cercate, non sparate”, ha gridato ai poliziotti, arrendendosi subito. Con lui c’erano la moglie e altre quattro persone (uno zio e i componenti della sua famiglia), denunciate per favoreggiamento.
Le indagini ora continuano per accertare se i due abbiano agito su mandato di un clan o se si tratta di cani sciolti. Intanto, le condizioni di Barbato, ricoverato al Loreto Mare, restano gravi ma stazionarie. Ieri il 53enne ha aperto gli occhi per qualche secondo, riempendo di speranza il cuore dei suoi familiari.