Succede a Vercelli. Andrea Natali, 26 anni, decide di togliersi la vita a causa della condotta da bulli dei suoi colleghi di lavoro. Andrea viene descritto come un ragazzo introverso e sensibile, appassionato di motori, che aveva trovato lavoro in una carrozzeria di Borgo d’Ale.
Qui Andrea sarà continuamente preso in giro. Gli scherzi, secondo i genitori, in un primo momento sembravano innocenti, poi giorno dopo giorno si sono fatti sempre più pesanti: come chiuderlo in un bidone dell’immondizia, fotografarlo e pubblicare l’immagine su Facebook.
Natali aveva raccontato le violenze alla polizia postale che aveva chiuso la pagina del social network con le sue foto e trasmesso poi gli atti alla procura.
In seguito a quella vicenda, però, il ragazzo sarebbe caduto in depressione. Dopo un anno vissuto con l’ansia, perfino di uscire da solo per una banale passeggiata, si è impiccato nella camera al secondo piano della casa dove abitava con i genitori.
“Sappiamo che nessuno potrà restituirci nostro figlio – affermano questi ultimi – ma vogliamo capire cosa è veramente accaduto”.
Il padre ammette di non essere alla ricerca di vendetta, ma di giustizia: “Non voglio nessuno in galera, Andrea avrebbe anche perdonato chi lo aveva trattato in quel modo. Ora devono pagare con quello che hanno e i soldi andranno in beneficenza”.
Un tragico accaduto che ci dimostra come l’epoca del bullismo non termini con il suono dell’ultima campanella scolastica e va ben oltre la questione “età” e “immaturità”.
È raro che chi ha predisposizione alla “dominanza” e, di conseguenza, alla sopraffazione sugli altri vi rinunci da adulto.
I bulli di ieri, quelli presenti tra i banchi di scuola, diverranno inevitabilmente i “criminali” di oggi negli uffici dei posti di lavoro. Gli stessi che, ora, devono portare sulla coscienza il peso della morte indiretta di un ragazzo dall’animo fragile.