Firenze – Con sentenza depositata il 17 settembre scorso, la Corte di Cassazione ha definitivamente respinto i ricorsi delle difese di Giacomo Terracciano, Antonio Terracciano, Carlo Terracciano, Francesco Terracciano e di terzi interessati, confermando la confisca del patrimonio criminale del “Clan Terracciano” di Napoli.
La vicenda trae origine dalle indagini che il Gico della Guardia di Finanza di Firenze, su delega della locale Procura antimafia, ora diretta dal procuratore Giuseppe Creazzo, aveva intrapreso nei confronti del sodalizio criminale, individuando come, nel periodo 2003 – 2009, lo stesso si fosse radicato nella zona della Versilia, nonché nelle province di Firenze, Pistoia, Prato, Lucca, ove erano stati acquisite diverse attività commerciali, usando metodologie tipicamente mafiose, con l’intimidazione dei gestori e con aggressioni fisiche di efferata violenza.
Ad esito delle suddette investigazioni si era quindi appreso come le dinamiche d’imprenditoria criminale di tale associazione camorristica si sostanziassero in una preliminare intestazione della proprietà dei locali notturni a terzi conniventi, salvo poi commettervi ogni sorta di illeciti come “sfruttamento della prostituzione”, “gioco d’azzardo”, “favoreggiamento all’immigrazione clandestina”, “estorsioni” ed “usura”.
Partendo da tale base investigativa, allorché alcuni sodali sono stati raggiunti da “ordinanza di custodia cautelare in carcere”, ritenendo che già sussistessero indizi tali da configurare l’ipotesi che gli stessi avessero costituito un “patrimonio” avvalendosi dei proventi delle attività delinquenziali, si è proceduto ad effettuare ulteriori approfondimenti sotto il profilo dell’applicabilità della normativa di “prevenzione patrimoniale antimafia”, al fine di garantire il definitivo smantellamento – anche sul piano “economico-finanziario” – della consorteria delinquenziale.
La ricostruzione dei meccanismi d’imprenditoria criminale e l’analisi del “tenore di vita” dei suoi appartenenti hanno permesso di individuare 14 affiliati che avevano costituito, pur a fronte di redditi dichiarati negli ultimi 10 anni del tutto irrisori, un ingente patrimonio per un valore complessivo di oltre 14 milioni di euro.
Sono stati, pertanto, sottoposti a sequestro in Toscana 17 aziende – operanti nei settori della ristorazione, della pulizia e della gestione dei locali notturni – nonché 21 immobili (tra i quali una scuderia ed abitazioni di pregio), 11 autovetture di grossa cilindrata e 21 cavalli da corsa, 74 conti correnti e rapporti finanziari di costituzione illecita ed a Napoli sono stati sequestrati ulteriori quattro immobili.
L’iter giudiziario ha portato, nel maggio 2013 e nel marzo 2014, alla confisca della gran parte del patrimonio sequestrato sia in primo grado, Tribunale di Prato, che dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze confermando le tesi della Dda fiorentina che aveva richiesto la “confisca di prevenzione antimafia”.
A fronte di tale “debacle” dei ricorsi processuali già presentati dinanzi alle sedi dibattimentali toscane, 10 affiliati al “Clan Terracciano” – “effettivi titolari” dei beni confiscati – si sono appellati alla Corte di Cassazione, producendo memorie difensive che miravano a disconoscere la titolarità del patrimonio.
La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai Terracciano contro il provvedimento della Corte d’Appello di Firenze, confermando quasi in toto la confisca del patrimonio criminale del clan.