La settimana appena conclusasi segna una data storica per il tennis italiano. Flavia Pennetta, attuale top ten del ranking mondiale e campionessa recente dell’US Open, uno dei quattro tornei del Grande Slam, ha appeso la racchetta al chiodo. Un addio già annunciato lo scorso settembre durante la premiazione dell’indimenticabile, emozionante finale del torneo newyorkese quando riuscì a spuntarla in due set sull’amica di una vita, pugliese come lei, Roberta Vinci.
Quest’ultima, a sua volta, aveva fatto fuori la favorita numero uno dell’evento Serena Williams, impedendole di conquistare il Grande Slam, ovvero la vittoria dei quattro tornei planetari più importanti (Melbourne, Parigi, Londra e New York) nello stesso anno solare e rendendosi protagonista della sorpresa, forse, più grande della storia del tennis nell’era open.
Coerentemente con quanto dichiarato con il microfono in una mano e la possente coppa di campionessa nell’altra con voce incredula e rotta dall’emozione davanti a milioni di (tele)spettatori, Flavia ha chiuso la stagione qualificandosi per le WTA Finals, il torneo che vede affrontarsi le migliori otto giocatrici della stagione, e poi in punta di piedi ha abbandonato il campo e la sua vita nel tennis professionistico per sempre.
Non importa che abbia chiuso con una sconfitta a un passo dalle semifinali contro la russa Maria Sharapova, d’altronde un’avversaria di tutto rispetto con la quale terminare una gloriosa carriera, ma ciò che resta è il suo esempio, oltre che i suoi successi. Una ragazza di quasi trentaquattro anni che non si è mai arresa, anche al fato avverso, che ha le ha provate tutte, sin dal suo esordio tra i professionisti nel giorno del diciottesimo compleanno il 25 febbraio del 2000, per emergere e diventare l’italiana, insieme all’altra campionessa Slam Francesca Schiavone, più famosa di sempre a livello sia nazionale sia internazionale.
D’altronde i numeri parlano chiaro: un titolo Slam conquistato sia in singolare (il già citato US Open) sia in doppio (Australian Open con la collega e amica argentina Gisela Dulko), un Masters in doppio, 11 titoli WTA (tra i quali quello prestigiosissimo a Indian Wells, da molti ritenuto una sorta di quinto Slam), 392 vittorie in totale, quattro Fed Cup (la Davis al femminile) con le altre artefici di un’epoca irripetibile per il nostro tennis (Schiavone, Vinci e Sara Errani), il best ranking di singolo (sesta) e doppio (prima). Insomma una valanga di risultati sicuramente fantastici per l’universo della racchetta tricolore.
In mezzo a tutto ciò storie d’amore andate in frantumi (dolorosissima, per lei, quella con il collega spagnolo Carlos Moya dalle cui ceneri è però risorta con la nuova consapevolezza di essere un’autentica campionessa) e pienamente in corso (con l’altro collega Fabio Fognini), sfilate di moda, tra un infortunio e l’altro, e l’aspirazione a un’esistenza tutta da scoprire dal prossimo anno. Sarà magnifica anche questa. Intanto grazie Pennetta, mille grazie per averci fatto sognare traguardi insperati e che il tuo curriculum sia di monito per una generazione emergente di tennisti e permanga indelebile nella memoria degli amanti dello sport in generale.