Ha chiuso con la musica per dedicarsi alla scrittura: la nuova vita di Francesco Guccini. Un passato da musicista, cantante e compositore che non si ripercuote però nel suo presente, dal momento che – come ha lui stesso dichiarato- non ascolta più la musica, nemmeno in macchina. Il motivo? “Troppe canzoni inutili”. Ed è per questo motivo che il paroliere, gran affabulatore di parole, si è messo a narrare storie di vita. Presenta così “Se io avessi previsto tutto questo – Gli amici, la strada, le canzoni”, due box da 4 e 10 cd, con inediti, registrazioni in studio, rarità e live introvabili, in uscita il 27 novembre. Nei due box Deluxe e Super Deluxe l’opera omnia del grande artista, oltre quarant’anni di carriera, un racconto in musica e un viaggio nella scrittura del cantautore bolognese.
“Mi chiamo Francesco Guccini e sono nato nella prima metà del secolo scorso, sono ancora vivo, ho fatto il cantautore, ora però faccio lo scrittore”: sceglie questa piccolissima descrizione per presentarsi al pubblico. Il maestro 75enne, tono pacato e dall’accento bolognese, continua poi ostentando le sue distanze dalla musica e dalle canzoni: “Ho smesso perché non mi vengono semplicemente più le parole per scrivere canzoni, non ho più voglia, non ho più idee. Scrivere canzoni non deve costare fatica. Le 13 strofe di ‘La locomotiva’ le ho scritte in venti minuti. Le parole venivano semplicemente. Adesso non è più così”.
E abbandonata la musica, ora la sua arte è diventata la scrittura o meglio, il raccontare le storie così come fa nell’ora filata passata a ripercorrere il tempo e lo spazio di quel che è stato. Osteria del Moretto, (che è poi il luogo dove ha incontrato i giornalisti e il luogo di cui parlano alcune sue canzoni, tra cui un’inedita “Osteria dei poeti”), fine anni ’60: “Ci incontravamo lì tutte le sere a cantare fino alle due di notte, c’erano molti studenti greci, molti americani” e poi la Gazzetta di Modena e la sua breve carriera di giornalista, l’incontro con Alfio Cantarella, batterista degli Equipe 84, la prima canzone,”Auschwitz”scritta nel ’64 e la sua scelta di continuare a studiare invece che unirsi al gruppo musicale. E ancora quell’esame fatto a Roma come “melodista non trascrittore” per ottenere la registrazione alla Siae delle sue canzoni: “La prima canzone che ho firmato nel ’66 è stata “Un Dio è morto”.
Guccini racconta, indugia soprattutto su alcuni ricordi di gioventù, sulla sua vocazione di cantante “scoperta dopo quattro album”, sul primo contratto discografico ottenuto a Milano “100 mila lire al mese per l’esclusiva” o sul mulino di famiglia, “sui sacchi pesanti portati su e giù dalla montagna, il fotografo del paese, i giovani abituati a fare fatica…”. “Ho avuto la fortuna di vivere un’epoca e una generazione, una sorta di età dell’oro”, dice il maestro, che del cantautorato contemporaneo salva solo Capossela: “Colto e serio, ma un po’ strano”, dice e delle canzoni del momento “sono inutili”.
“Il problema di adesso è che è stato tutto già detto, si fa fatica a dire qualcosa di nuovo e originale. Il mondo discografico è molto cambiato, i talent show favoriscono le illusioni…”.
Lui prende le distanze da tutto questo, le ha prese, dopo il suo ultimo disco, nel 2012, “L’ultimo Thule”, ha chiuso le chitarre nella loro custodia e adesso si gode i suoi appennini… scrive, ricorda, senza rimpianti come solo i saggi sanno fare e ci regala ancora tanta poesia, adesso sembra lui quel “vecchio” di uno dei suoi pezzi cult “Il vecchio e il bambino”… noi siamo i bambini, il mondo in pericolo allora doveva difendersi dal pericolo della bomba atomica, oggi le bombe sono quelle cadute su Parigi.