‘Ndrangheta, confiscati beni per 214 milioni a imprenditori reggini

di Redazione

Reggio Calabria – I finanzieri del comando provinciale e gli uomini della Dia di Reggio Calabria hanno confiscato a due imprenditori reggini, Pietro Siclari e Pasquale Rappoccio, tra Calabria e Lombardia, nove società, 220 beni immobili, 22 rapporti finanziari, per un valore stimato in oltre 241 milioni di euro.

Il provvedimento rappresenta l’epilogo dell’attività investigativa svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria – Gico e dal Centro Operativo della Dia di Reggio Calabria che ha permesso di accertare un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato e il patrimonio a disposizione, direttamente o indirettamente, dei due imprenditori che, sebbene abbiano mantenuto nel tempo una facciata di rispettabilità, sono risultati essere contigui con esponenti della ‘Ndrangheta reggina tra cui quelli intranei alle cosche Tegano e Condello di Reggio Calabria, Alvaro di Sinopoli, Barbaro di Platì e Libri di Cannavò.

A tal fine è stata estrapolata e acquisita copiosa documentazione – ufficiale e non – quale contratti di compravendita di beni mobili e immobili, di quote societarie, nonché atti di partecipazione e aggiudicazione di beni messi all’asta dal locale Tribunale fallimentare, atti notarili, scritture private ecc., necessari a ricostruire ogni singola operazione economica operata dai due imprenditori reggini e dai rispettivi nuclei familiari. Il materiale così acquisito è stato oggetto, quindi, di circostanziati approfondimenti, tesi a ricostruire, con dovizia di particolari, tutte le articolate operazioni societarie effettuate da Siclari e Rappoccio e dai rispettivi nuclei familiari, le quali, nel corso dell’ultimo ventennio, hanno determinato un arricchimento decisamente anomalo, se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati.

Siclari, noto imprenditore nei settori edilizio, immobiliare e alberghiero, era stato tratto in arresto il 17 novembre 2010 per estorsione aggravata nell’ambito dell’operazione denominata “Entourage”. Secondo gli inquirenti, avvalendosi anche della forza di intimidazione derivante dagli stretti rapporti con alcune delle cosche mafiose della provincia di Reggio Calabria, avrebbe minacciato di morte un prossimo congiunto di un suo dipendente e costretto quest’ultimo a formalizzare le proprie dimissioni dall’azienda rinunciando alla propria liquidazione. Tale episodio risale al mese di agosto 2006, quando, successivamente ad una rapina avvenuta il 4 agosto 2006 presso gli uffici della società “Siclari Antonino e figli sas”, l’imprenditore ha cercato di sfruttare la conoscenza di noti esponenti della criminalità organizzata per individuare gli autori del delitto. Queste sue ricerche lo hanno condotto al presunto basista della rapina, figlio del proprio dipendente, nei cui confronti ha poi attuato le ritorsioni estorsive descritte.

Tale fatto ha corroborato lo scenario tratteggiato dagli inquirenti, in cui è emersa in modo inequivocabile la figura di Siclari, imprenditore incline a voler gestire i propri affari avvalendosi della fitta rete di collegamenti con esponenti della criminalità organizzata con i quali, nel corso degli anni, ha consolidato stretti legami. La vicenda giudiziaria si è conclusa con la sentenza di condanna alla pena di otto anni di reclusione. Per la Sezione Misure di Prevenzione per “non vi sono dubbi sulla pericolosità sociale” di Siclari “in quanto indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta. Tale pericolosità, che certamente ha contrassegnato tutto il percorso di vita imprenditoriale di Siclari, deve ritenersi ancora attuale. …omissis…Ebbene, le risultanze in atti hanno dimostrato una contiguità funzionale del proposto ad importanti appartenenti delle cosche così profonda e soprattutto così risalente nel tempo che non vi è motivo di ritenere sia venuta meno con il mero decorso del tempo…..omissis…Il giudizio di persistente attualità della pericolosità sociale è, del resto, avvalorato dalla circostanza che, per tutta la durata del procedimento di prevenzione, il Siclari è stato agli arresti domiciliari avendo il giudice di merito con riferimento all’estorsione aggravata ritenuto ancora attuali le esigenze cautelari”.

Pasquale Rappoccio, già presidente e proprietario della squadra di pallavolo femminile reggina “Medinex”, militante nella massima serie (A1), nonché socio della “Piero Viola”, prestigiosa società sportiva che ha vantato decenni di presenza nel massimo campionato di basket italiano – è un soggetto attualmente incensurato, ma che è, tuttavia, coinvolto in importanti procedimenti penali volti a contrastare lo sviluppo e la penetrazione delle potenti cosche di ‘ndrangheta negli ambienti imprenditoriali e finanziari reggini. Significativa della vicinanza di Rappoccio ad ambienti criminali di elevato spessore è la circostanza riferita da un collaboratore di giustizia secondo la quale, in occasione del matrimonio di una delle figlie di Tegano Giovanni, lo stesso era stato invitato e aveva partecipato al banchetto riservato a pochi intimi organizzato dal cognato dell’imprenditore. Ciò in quanto Rappoccio era ritenuto dalla cosca Tegano un personaggio meritevole di considerazione e, quindi, degno di prendere parte a dei festeggiamenti carichi di significato simbolico all’interno della cultura che contraddistingue gli ambienti mafiosi.

E’ stato documentato un articolato e quanto mai variegato quadro indiziario, da cui sono emersi reiterati contatti di Rappoccio con altri esponenti di spicco della locale criminalità comune e organizzata. Diverse sono le iniziative imprenditoriali che lo vedono coinvolto con esponenti di spicco della ‘ndrangheta, tra le quali si evidenziano, a titolo esemplificativo, le cointeressenze societarie nel lussuosissimo “Grand Hotel de la Ville” e nel “Piccolo Hotel”.

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