È morto tra le mura domestiche di Villa Wanda, Licio Gelli, il 96enne personaggio di spicco delle trame che hanno visto protagonista l’Italia dalla P2 alla trattativa Stato-mafia.
Maestro della Loggia massonica , il nome di Licio Gelli emerge intorno agli anni ’80, durante gli anni di piombo, quando la magistratura milanese comincia ad indagare circa il finto rapimento del banchiere Michele Sindona. Il fatto di cronaca aprì indagini ed inchieste che hanno aperto un polverone di segreti. In quegli anni i giudici istruttori erano alla ricerca di una lista di lista di 500 imprenditori che avevano esportato capitali all’esterno grazie all’aiuto di Sindona. In realtà si trovarono invece in un ufficio di una fabbrica, all’interno di una valigia, un elenco di iscritti alla loggia segreta Propaganda 2 guidata dal Gran Una lista di 962 nomi che includeva anche tre ministri oltre ai vertici dei servizi segreti, 208 ufficiali, 18 alti magistrati, 49 banchieri, 120 imprenditori (tra cui l’allora editore del Corriere della Sera Angelo Rizzoli) , 44 parlamentari, 27 giornalisti. Furono in tanti a smentire la loro appartenenza alla loggia.
Nel 1963, Licio Gelli si iscrive alla massoneria e tre anni dopo il Gran maestro Gamberini lo trasferisce alla loggia “Propaganda 2”, nata a fine Ottocento per permettere l’adesione riservata di personaggi pubblici. Nel 1975 la massoneria ufficiale decide lo scioglimento della P2 che, in realtà, da quel momento, sotto il totale dominio di Gelli, divenuto da segretario gran maestro, diventa una sorta di contropotere occulto e allarga i suoi tentacoli in ogni ramo delle istituzioni, dalle più alte a quelle locali. Per l’Italia è un illustre sconosciuto quando, il 17 marzo del 1981, i giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo, che indagano sul crac Sindona, arrivano a Villa Wanda e trovano una valigetta: dentro ci sono il Piano di rinascita democratica e una lista di iscritti alla P2 che provocano un terremoto nel mondo politico italiano.
Negli elenchi ci sono quasi mille nomi tra cui ministri, parlamentari, finanzieri come Michele Sindona e Roberto Calvi, editori, giornalisti, vertici militari, capi dei servizi segreti, prefetti, questori, magistrati, tutti ‘operativi’ dentro le istituzioni, nelle armi, nei giornali e nel mondo dell’economia e smascherati nel loro patto di fedeltà agli obiettivi ed ai progetti della P2 e del suo venerabile capo. Si capisce che il loro compito è funzionale al Piano di rinascita, un progetto di trasformazione della Repubblica da parlamentare a presidenzialista, da realizzare attraverso l’infiltrazione dei ruoli-chiave delle istituzioni e un massiccio uso della propaganda attraverso media amici e da ‘arruolare’.
Ci sono, dentro, molti obiettivi che anni dopo si ritroveranno integri nei programni elettorali di Berlusconi, anch’egli risultato iscritto alla loggia. Saranno le inchieste e la storia giudiziaria di tutti gli anni successivi a svelare, via via, il livello di coinvolgimento di Licio Gelli nelle trame più oscure della Repubblica: direttamente o indirettamente, il suo nome spunta nelle indagini sin dai tempi del tentato golpe Borghese, nella strategia della tensione, nella bancarotta della Banca privata e nella fine tragica del suo padrone, Michele Sindona; nello scandalo del Banco Ambrosiano, concluso anche questo con la morte misteriosa del banchiere Roberto Calvi; nella scalata ai grandi gruppi editoriali, ma anche in inchieste di mafia e di Tangentopoli. Nei giorni del sequestro Moro, il comitato di crisi istituito dal ministro Francesco Cossiga risultò infarcito di iscritti alla P2.
Dai documenti sequestrati emerse che Gelli, oltre che con Michele Sindona, anche lui nell’elenco della P2, aveva avuto legami con il generale e Lorenzo, il principe Valerio Borghese e con altri personaggi che erano ritenuti coinvolti nei venti anni precedenti nelle manovre sovversive di destra. Uno scandalo di proporzioni enormi che spinse il Parlamento a varare una commissione d’inchiesta apposita, guidata dalla Dc Tina Anselmi e a interventi legislativi contro le associazioni segrete, per altro vietate dalla Costituzione. Pochi giorni dopo il presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, democristiano, si dimise mentre il Parlamento approvò una legge per lo scioglimento della P2. La guida del governo andò al repubblicano Giovanni Spadolini che, rivolgendosi agli italiani, parlò di “emergenza morale” per le “gravi alterazioni e distorsioni nei meccanismi istituzionali”. “Dal giorno della scoperta delle liste di me è stato detto tutto e il contrario di tutto”, dichiarò Gelli che con le sue affermazioni ha sempre lasciato che un alone di mistero continuasse a circondarlo, fino alla fine. Un’inchiesta che lo portò in carcere nel 1983, dopo un arresto ottenuto a Ginevra. Da qui comincia il suo dentro e fuori dal carcere. Rinchiuso a Champ Dollon, vi evase qualche mese dopo per poi ricostituirsi ancora dopo qualche settimana. Estradato in Italia nel 1988, qualche mese dopo riuscì ad avere la libertà provvisoria per motivi di saluti. Ancora, nel 1977 finì in carcere per reati differenti da quelli che gli erano costati l’estradizione qualche tempo prima.
Il 16 gennaio 1997 c’è un nuovo ordine di arresto, ma il ministero della Giustizia lo revoca: il reato di procacciamento di notizie riservate non era tra quelli per cui era stata concessa l’estradizione. Condannato per depistaggio nelle indagini per la strage di Bologna, il 22 aprile 1998 la Cassazione conferma anche la condanna a 12 anni per il Crac del Banco Ambrosiano. Il 4 maggio Gelli si rende di nuovo irreperibile: la fuga dura più di quattro mesi. Gli vengono concessi i domiciliari, che sconterà a Villa Wanda, la residenza dove è morto e che nell’ottobre 2013 gli venne sequestrata a conclusione di una indagine per un debito col fisco; la villa è rientrata nella sua disponibilità piena nel gennaio scorso per la dichiarata prescrizione dei reati fiscali. Nell’aprile 2013 i pm di Palermo dell’inchiesta Stato-mafia lo hanno sentito per gli intrecci tra P2, servizi ed eversione; altre vicende in cui Gelli era depositario di segreti che porta con sè nella tomba.
Con la fine della sua vita, Gelli si porta appresso molti dei segreti che hanno segnato alcuni dei fatti più tremendi e oscuri della storia repubblicana. Non c’è stato grande mistero degli ultimi 50 anni che non lo abbia visto protagonista, diretto o indiretto. Il “burattinaio”, “Belfagor”, “il venerabile” sono alcuni degli epiteti coniati su questo ex commerciante di materassi aretino, fascista e franchista, grande tessitore di rapporti di potere occulti e con diffusi legami internazionali, protagonista di vicende giudiziarie, arresti, fughe e guai col fisco.