Si è conclusa a Los Angeles, nella notte italiana, la 73esima edizione dei Golden Globes, i prestigiosi premi assegnati annualmente dai giornalisti dell’Associazione Stampa Estera a Hollywood e ritenuti la più papabile anticamera agli Oscar. I candidati, tutti tradizionalmente riuniti in lussuoso hotel di Beverly Hills, hanno sfilato su un red carpet sfavillante e hanno partecipato a una cerimonia spassosa presentata, dopo quattro anni di assenza, dall’irriverente entertainer Ricky Gervais. Non sono mancate le emozioni e neanche le soddisfazioni per i nostri colori.
L’unico connazionale nominato, ovvero il maestro Ennio Morricone, ha trionfato (completando un fantastico tris!) per la colonna sonora del western di Quentin Tarantino “The Hateful Eight”. Visibilmente commosso, il cineasta, che ha per lungo tempo rincorso tale desiderata collaborazione, ha ritirato il Globo al posto di Morricone e ha espresso la sua infinita gratitudine per aver lavorato con un genio delle sette note paragonabile a Mozart o Beethoven.
Terza volta, anche, per Leonardo DiCaprio, insignito dell’alloro come miglior attore di dramma per “The Revenant” del messicano Alejandro G. Inarritu, già premio Oscar per “Birdman” e qui vincitore per la regia e il miglior titolo drammatico, e per Jennifer Lawrence, miglior interprete di commedia o musical per “Joy” diretto dal suo pigmalione David O. Russell.
Atteso il trofeo all’attrice drammatica, la giovane e talentuosa Brie Larson, commovente e indimenticabile madre in “Room” di Lenny Abrahamson, così come quello all’attore brillante, l’ironico, pur se immerso in situazioni estreme di sopravvivenza, Matt Damon, novello “Robinson Crusoe” dello spazio in “The Martian” di Ridley Scott, dichiarato anche miglior lungometraggio nella categoria commedia o musical. Sorprendenti, in parte, i verdetti tra i non protagonisti, soprattutto, per l’inattesa Kate Winslet (anche lei giunta al terzo Globe), interprete del biopic “Steve Jobs” di Danny Boyle, mentre un redivivo Sylvester Stallone, alla soglia dei fatidici 70, ha finalmente stretto fra le mani il suo primo alloro tanto importante grazie a “Creed” di Ryan Coogler, riuscito “spin off” del primo immarcescibile “Rocky”, mitica pellicola che segnò il suo esordio tra le star quarant’anni orsono.
Segnaliamo, infine, la vittoria tra i film in lingua non inglese dell’ungherese “Son of Saul” di Lazslo Nemes, che parte ora in pole position per un trionfo anche ai prossimi Oscar, le cui candidature saranno rese note il prossimo 14 gennaio.