Massacrò i genitori, Maso chiede perdono al Papa: Francesco lo chiama

di Redazione

“Sono Francesco, Papa Francesco”. Così il Pontefice ha esordito in una telefonata a Pietro Maso, l’uomo che il 17 aprile del 1991, a Montecchia di Crosara (Verona), aiutato da tre complici, massacrò i genitori.

Dopo essere stato in carcere per 22 anni, Maso, oggi 45enne, ha scritto una lettera al Papa in cui si scusava per l’atroce delitto compiuto 25 anni fa e pregava per la pace. Dopo qualche giorno il telefono ha squillato, era Francesco.

A raccontarlo lo stesso Maso in un’intervista rilasciata al settimanale “Chi”. “Mi chiamo Pietro Maso, a luglio compio 45 anni e sono stato in carcere 22 anni per aver ucciso i miei genitori il 17 aprile 1991. Io ero il Male. Eppure Papa Francesco ha avuto compassione di me. Gli ho scritto una lettera che gli è stata consegnata dal mio padre spirituale, monsignor Guido Todeschini. E dopo pochi giorni il Papa mi ha telefonato. Lui e don Guido sono persone sante”.

Sulla telefonata ricorda: “Erano le dieci del mattino e suona il telefono. Ero con Stefania, la mia compagna, rispondo e sento: ‘Sono Francesco, Papa Francesco’. Preso dall’emozione dico ad alta voce: ‘Santità’. Era il 2013. Gli avevo scritto una lettera in cui dicevo ‘Chiedo scusa per quello che ho fatto, chiedo preghiere per i miei colleghi di lavoro che mi hanno accettato nonostante quello che ho fatto, chiedo una preghiera per chi opera per la pace”.

Maso, che in carcere ha avviato un processo di avvicinamento alla fede, racconta di aver goduto anche dell’intercessione di un altro Pontefice, Giovanni Paolo II. A monsignor Todeschini, “l’unico che mi tese una mano, Papa Giovanni Paolo II disse: ‘Vai avanti'”.

L’uomo poi cerca di spiegare i motivi di quello che ha fatto: “Adesso che ho scontato la mia pena lo posso dire: io non ho ucciso i genitori per soldi, perché i soldi li avrei avuti lo stesso. Dissi che il motivo era quello perché quando abbiamo commesso l’omicidio un mio amico si era fatto fare un prestito ed eravamo sotto con i soldi. Ma ho tentato altre volte di ucciderli. Io sono stato tanto malato da piccolo e i miei mi dicevano ‘Non andare a lavorare perché sei malato’, ‘Non uscire perché sei malato’, ‘Pensiamo a tutto noi’. E’ come essere gay e i tuoi non lo sanno. Ti vedono diverso, stai male e non capisci perché. Non ne puoi parlare liberamente perché i tuoi non vogliono. Stai in casa e soffri. Questo disagio potrebbe essere il motivo”.

Intanto, ha perso il lavoro e si è diviso dalla moglie Stefania. Ora si trova in Spagna, dove vuole aprire una comunità di recupero. “Voglio accogliere – dice – chi ha sbagliato ed è in mezzo a una strada. Voglio dare un senso diverso alla mia vita. Solo chi è straniero capisce chi è straniero. Solo chi è in carcere capisce chi ci è stato”.

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